Gli Yoga Sūtra sono strutturati in quattro capitoli
Capitolo primo
समाधिपादः samādhi-pādaḥ
[sulla reintegrazione/Illuminazione]
Samādhi समाधि (m.): enstasi, focalizzazione stabile e prolungata della mente nel processo meditativo; assorbimento totale e stato trascendente della mente e dei sensi nella coscienza dell’Essere Supremo; completamento; coscienza cosmica, intenso auto-assorbimento; stato mentale meditativo concentrato, auto-raccolto; in concomitanza con il retto vivere, condizione necessaria per il raggiungimento di uno stato superiore dell’Essere, caratterizzato da Sapienza ed Illuminazione; meditazione profonda e devota; collegamento continuo e senza sforzo dell’attenzione a una forza di concentrazione superiore (oggetto o persona) in modo che si senta come se sia presente solo la realtà superiore, con una visione completa della dell’oggetto o della Forza.
Uno degli otto rami dello Yoga (aṣṭāṅga). Samādhi rappresenta lo scenario in cui l’osservatore si fonde con il suo oggetto di focalizzazione, trascendendo completamente il sé fino a una consapevolezza superiore, la sua stessa forma sembra come se fosse assente.
Secondo il Vedānta il Samādhi è di due tipi:
- la meditazione su Brahman-Saguṇa (con ‘seme’) porta al savikalpaka samādhi.
- la meditazione su Brahman-Nirguṇa (senza ‘seme’) si traduce in nirvikalpaka samādhi.
Ascolto del samādhi-pādaḥ recitato da Yoga Ācārya Ananda Balayogi Bhavanani
https://www.youtube.com/watch?v=My_CtxFGFcQ
Capitolo secondo
साधनपादः sādhana-pādaḥ
[Il metodo operativo e le tecniche sperimentali]
Sādhana साधन (n): sentiero realizzativo, realizzazione, strumento per realizzare qualcosa, strumento finalizzato ad un fine, mezzo di conseguimento, atto intenzionale progettato per ottenere una trasformazione del proprio stato interiore, pratica spirituale che trascende l’ego, disciplina intrapresa nel perseguimento di un obiettivo, sentiero che conduce in modo retto verso un obiettivo, buona guida, Via iniziatica. Da cui il Sādhaka, l’apprendista che s’incammina sulla Via dello Yoga, è colui che dedica ogni sforzo, applicando mente e corpo nella pratica verso l’obiettivo della realizzazione spirituale, della reintegrazione, dell’Illuminazione.
Ascolto del sādhana-pādaḥ recitato da Yoga Ācārya Ananda Balayogi Bhavanani
https://www.youtube.com/watch?v=3GEqm69ItA8
Capitolo terzo
विभूतिपादः vibhūti-pādaḥ
[sulle manifestazioni speciali]
Vibhūti विभूति (f): potere, gloria, potenza, grandezza, magnificenza, splendore, espansione, manifestazione dell’energia sottile.
Tratta dei poteri chiamati Vibhūti o Siddhi che si sviluppano nelle fasi elevate della pratica yogica (lo Yoga interiore, antaraṅga): Dhāraṇā, Dhyāna e Samādhi. Le tre componenti, unificate in un unico processo integrato, sono definite come Saṁyama. Attraverso il Saṁyama si manifestano facoltà speciali, che possono distrarre l’attenzione dal vero ed ultimo scopo dello Yoga, l’Illuminazione. Di fatto possono divenire ostacoli al compimento dell’opera di trasmutazione. Lo Yogī deve operare con la dovuta Vigilanza e Perseveranza. Sono poteri che vanno conosciuti e sperimentati; per poi abbandonarli e procedere oltre, superando le chimere dell’ego, fino allo stato di perfetta Esistenza, perfetta Coscienza, perfetta Beatitudine (sat-cit-ananda).
È oggetto del decimo capitolo della Bhagavad Gītā: Vibhūti yogaḥ, lo Yoga delle Glorie divine.
L’approccio di Patañjali a Vibhūti o Siddhi è manifestamente guardingo: si tratta di un punto di passaggio lungo la Via, da percorrere ed oltrepassare senza indugiare. In questo riscontriamo una visione diametralmente opposta a quella dell’Haṭha Yoga, dove il compiacimento della componente ‘magica’ spesso, di fatto, rappresenta il fine da raggiungere. Le conseguenze, rispetto alla reintegrazione-Illuminazione (ovvero il Samādhi) vanno da sé.
Ascolto del sādhana-pādaḥ recitato da Yoga Ācārya Ananda Balayogi Bhavanani
https://www.youtube.com/watch?v=hxsi2n1r18Q&t=57s
Capitolo quarto
कैवल्यपादः kaivalya-pādaḥ
[sull’emancipazione finale]
Kaivalya कैवल्य: che conduce all’emancipazione eterna, alla felicità, distacco dell’anima dalla materia o ulteriori trasmigrazioni, unità assoluta, isolamento, astrazione, distacco dell’anima dalla materia, beatitudine, distacco da tutte le altre connessioni, perfetto isolamento, emancipazione finale, perfetto isolamento, solitudine, esclusività, distacco, natura stessa del Sé, stato supremo dell’Essere. Isolamento di Puruṣa da Prakṛti, liberazione dalla rinascita. Lo stato di diventare uno con il Brahman che nasce da Jñāna, la Sapienza, identificazione con lo spirito supremo e scomparsa eterna dei tre dolori.
Il termine, che ricorre spesso nelle Upaniṣad (Śvetāśvatara, Kaivalya, Amṛtabindu, e Muktikā), lo ritroviamo anche nella Bhagavad-Gītā (1.8.27.- 5.3.17.)
Ascolto del kaivalya-pādaḥ recitato da Yoga Ācārya Ananda Balayogi Bhavanani
https://www.youtube.com/watch?v=L4lG3U73uIc
Introduzione agli Yoga Sūtra di Guruji Yoga Ācārya Ananda Balayogi Bhavanani
Introduzione agli Yoga Sūtra di Guruji Dr. H. R. Nagendra
Prima parte
https://www.youtube.com/watch?v=iohGh0hWTvs&list=TLPQMTExMDIwMjDe-0fwUnaFYw&index=1
Seconda parte
https://www.youtube.com/watch?v=_yL2Wp4oOSo&t=308s
Terza parte
https://www.youtube.com/watch?v=wYQ_rUcxm-0&t=20s
Quarta parte
https://www.youtube.com/watch?v=acEfjxFNlGo
Quinta parte
https://www.youtube.com/watch?v=UKKX8P2sPyo&t=1s
Gli otto aṅga
La formulazione degli Yogasūtra योगसूत्र è strutturata in otto aṅga[1] अङ्ग (componenti, parti, membra, ausili, aiuti), compenetrati tra loro: Yama यम, Niyama नियम, Āsana आसन, Prāṇāyāma प्राणायाम, Pratyāhāra प्रत्याहार, Dhāraṇā धारणा, Dhyāna ध्यान, Samādhi समाधि[2] . Ne consegue l’equivalenza di Yogasūtra e Aṣṭāṅgayoga अष्टाङ्गयोग: due modi per identificare lo stesso corpus dottrinale. Lo ribadiamo: dottrina Tradizionale, destinata ad iniziati, intrinsecamente non decifrabile da chi non l’abbia sperimentata e vissuta direttamente con successo. Questa riteniamo sia l’unica definizione accettabile oltre a quella di Darśana Yoga, prendendo come riferimento esclusivo il testo. L’utilizzo del termine Rājayoga, infatti, risulta essere un’interpretazione posteriore[3]. Altrettanto è possibile affermare riguardo all’Haṭhayoga[4].
Il percorso evolutivo della Sādhana è definito con le sue otto componenti (Aṣṭāṅga) nel Sūtra II.29.
यमनियमासनप्राणायामप्रत्याहारधारणाध्यानसमाधयोऽष्टावङ्गानि॥२९॥
yamaniyamāsanaprāṇāyāmapratyāhāradhāraṇādhyānasamādhayo’ṣṭāvaṅgāni||29||
di cui forniamo alcune traduzioni:
“L’autocontrollo, le regole fisse, le posizioni, il ritiro dei sensi, la concentrazione, la meditazione e il Samādhi costituiscono le otto parti della disciplina Yoga” (Svāmī Satyananda Saraswati, Quattro capitoli sulla libertà-commentario sugli Yogasūtra di Patañjali, Yoga publication trust, Bihar, 2009, pg. 169)
“Le membra dello Yoga sono otto: Yama, i comportamenti verso ciò che ci circonda. Niyama, i comportamenti verso noi stessi. Āsana, la pratica degli esercizi fisici. Prāṇāyāma, la pratica degli esercizi di respirazione. Pratyāhāra, il controllo dei sensi. Dhāraṇā , la capacità di dirigere la mente. Dhyāna, la capacità di entrare in rapporto con ciò che cerchiamo di comprendere. Samādhi, la completa fusione con l’oggetto da comprendere.”(T.K.V. Desikachar, Il cuore dello Yoga, Ubaldini, Roma, 1997, pg.193)
“Gli otto mezzi [dello Yoga] sono: Yama (autocontrollo, proibizioni), Niyama (osservanze), Āsana (posizione), Prāṇāyāma (controllo del respiro), Pratyāhāra (astrazione), Dhāraṇā (concentrazione), Dhyāna (meditazione), Samādhi (contemplazione).” (Patañjali, La via regale della realizzazione (Yogadarśana), a cura di Raphael, Āśram Vidyā, Roma, 2010, pg.73)
”Le astinenze, le osservanze, la positura, il controllo del respiro, l’astrazione, la concentrazione, la contemplazione, la trance sono le otto parti (dell’auto disciplina dello Yoga)”. (I. K. Taimni, La scienza dello Yoga. Commento agli Yogasutra di Patañjali,, Ubaldini, Roma 1970, pg. 192).

[1]Adottiamo la traduzione proposta dall’Angot, 2012 (aide, auxiliaires: cfr. nota 189, pg.93; nota 1127 pg.475), senza escludere l’acquisizione di una visione più ampia delle possibili traduzioni. Per approfondimenti, per questo come degli altri termini, cfr. Monier-Williams, Sanskrit-English Dictionary, Munishiram Manoharlal, New Delhi, 2008; Gérard Huet, Héritage du Sanskrit – Dictionnaire sanskrit-français, 1994-2016. Significativo anche il contributo di Dominik WUJASTYK. (N.d.c.: da non confondere con Aṣṭāṅga Vinyasa Yoga, creazione moderna di K. Pattabhi Jois). Analogo ed altrettanto condivisibile il termine “ausilio” (ancillary) identificato da Philipp A. MAAS : ‘The Sanskrit term aṅga, which is here translated as “ancillary”, primarily means “a limb of the body”, or, figuratively, “a constituent part”. In the context of the Patañjalayogaśāstra as well as in other authoritative and scholarly expositions, aṅga designates a means to be employed for success in yoga practice.’ (Il termine sanscrito aṅga, che qui viene tradotto come “ancillare”, significa principalmente “un ramo del corpo”, o, in senso figurato, “una parte costituente”. Nel contesto del Patañjalayogaśāstra così come in altre esposizioni autorevoli e accademiche, aṅga designa un mezzo impiegato per il successo nella pratica yoga) su Academia, pg. 54
Se dovessimo tentare di renderne il significato in termini Tradizionali, allora la parola, oltre il senso letterale di ‘parti che aiutano ad agire’, avrebbe quello di Arte; a questo punto il senso anagogico diventerebbe ‘le otto Arti che l’Artista, ovvero l’Iniziato, è chiamato ad esercitare per compiere la Grande Opera, ovvero l’Illuminazione’. Con l’occasione evidenziamo che la traduzione di tutti i principali vocaboli sanscriti, quindi non solo aṅga, Yama e Niyama, sono oggetto d’interpretazioni spesso non omogenee o divergenti tra loro anche nel ristretto ambito accademico. Pertanto le traduzioni che saranno adottate nel testo sono tutte da considerarsi delle approssimazioni.)
[2]“Aṣṭāṅgam, yogakriyāyāḥ aṣṭau bhedāḥ। yamaḥ, niyamaḥ, āsanaṃ, prāṇāyāmaḥ, pratyāhāraḥ, Dhāraṇā, dhyānaṃ, samādhiḥ – etāni bhavanti aṣṭāṅgāni” – fonte.
[3]Cfr. Jason BIRCH, Rājayoga: The Reincarnations of the King of All Yogas, in International Journal of Hindū Studies 17, 3 (2013), pgg.401–444: “The history of the term “Rājayoga” reveals that it did not derive from Pātañjalayoga. Indeed, it was not until the sixteenth century that this term was used in a commentary on the Yogasūtra. The earliest definition of Rājayoga is found in the twelfth century, Saiva Yoga text called the Amanaska, which proclaimed Rājayoga to be superior to all other Yogas and soteriologies prevalent in India at that time. From the twelfth to the fifteenth centuries, Rājayoga was mainly used as a synonym for Samādhi, yet after the sixteenth century, the textual evidence reveals many attempts to reinterpret the name and connect it with different systems of Yoga. In the late nineteenth and twentieth century, prominent Indian religious leaders such as Svāmī Vivekānanda and Svāmī Śivānanda developed systems of Yoga based on Patañjali’s Aṣṭāṅga Yoga and called them Rājayoga. They have promoted the Yogasūtra as the most authoritative source on Rājayoga. The term “rājayoga” is absent in the Yogasūtra, the Yogabhāṣya, Śaṇkara’s Vivaraṇa, Vācaspatimiṣra’s Tattvavaiśāradī, and Bhoja’s Rājamārtaṇḍa. In fact, as far as I am aware, rājayoga does not appear in a Yoga text until after the eleventh century.”
[4]Possibile punto di partenza per uno studio più approfondito, potrebbe essere quanto troviamo espresso da Śaṅkara in Aparokṣānabhūti 143: “Così è stato descritto il Rāja Yoga. A questo può essere associato l’Haṭa Yoga per coloro i cui desideri mondani sono estinti solo in parte.” (Āśram Vidyā, Roma, 1995 pgg. 82 e 99). Anche qui resta aperta la domanda: si tratta del reale Śaṅkara o di altro autore? La problematica, sollevata tra gli altri da Natalia ISAYEVA in Shankara and Indian Philosophy (State University of New York, 1993, pg.98), che cita P.HACKER, “Sankaracarya and Sankarabhagavatpada”, Kleine Schriften, pp. 55-58, resta irrisolta.