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Sāvitrī सावित्री Gāyatrīmantra गायत्रीमन्त्र

Sāvitrī सावित्री Gāyatrī गायत्रीमन्त्र

 Ṛg Veda 3.62.10

भूर्भुव: स्व:

तत्सवितुर्वरेन्यं ।

भर्गो देवस्य धीमहि,

धीयो यो न: प्रचोदयात् ।।

Om

bhūrbhuvaḥ svaḥ

tatsavitur vareṇyam

bhargo devasya dhīmahi

dhiyo yo naḥ pracodayāt

Gāyatrī (Sāvitrī) mantra origine e significati

Il Gāyatrīmantra è un mantra[1] sacro della tradizione vedica, che ha le sue radici nella Śrūti[2]. Basato su un versetto del Ṛgveda Saṃhitā[3](3.62.10), attribuito al ṛṣi (Sapiente) Viśvāmitra.[4] Il mantra prende il nome dal metro vedico di 24 sillabe, gāyatrī, con il quale è composto.
Come tutti i mantra vedici, il Gāyatrīmantra non è considerato opera di un autore e, come tutti gli altri mantra, si ritiene sia stato rivelato a un Brahmaṛṣi[5], in questo caso Viśvāmitra. Il testo, in accordo alla Tradizione vedica, ha il Significato d’invocazione alla dea Sāvitrī[6]; per questo è anche chiamato Sāvitrīmantra. La recitazione del Gāyatrīmantra è tradizionalmente preceduta da oṃ e dalla mahāvyāhṛti[7], composta da Bhūḥ, Bhuvaḥ e Svaḥ. Le tre espressioni sono prese come i nomi di tre mondi: Bhūḥ: il terrestre, Bhuvaḥ: il mondo che collega la dimensione terrestre a quella celeste, Svaḥ: la dimensione celestiale superiore. Questi sono i nomi dei primi tre dei sette vyāhṛti o mondi superiori della cosmologia Hindū.

Da un punto di vista meditativo, Bhūḥ, Bhuvaḥ, Svaḥ hanno il Significato di livelli di stato dell’Essere. Il mantra è considerato non diverso dall’entità divina che ne forma il contenuto. Il nome dell’entità divina contenuta nel mantra è quindi Gāyatrī. Il mantra è considerato sia un mezzo di culto, sia oggetto di culto in sé, con riferimento all’entità divina, la dea in esso descritta. Come avremo modo di vedere, il mantra ha un ruolo fondamentale nell’iniziazione.
Premesso che, secondo noi, il Significato più profondo del mantra può essere conosciuto solo vivendolo interiormente, tra le diverse interpretazioni preliminari disponibili in lingua italiana sentiamo particolarmente risuonante quella del Gruppo Kevala, posta in nota alla Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, che citiamo integralmente:

“Il termine gāyatrī designa genericamente un metro poetico composto di ventiquattro sillabe (akara) riunite in tre versi o piedi (pāda) di otto sillabe ciascuno. Nel g Veda compare un particolare Gāyatrī che è tradizionalmente considerato il più sacro verso dell’intero Veda; a esso è assegnato per antonomasia il nome di Gāyatrī. Questa invocazione è conosciuta anche con il nome di Sāvitrī essendo rivolta alla divinità solare (Savitar) quale manifestazione del Brahman e fonte di vita nell’universo terrestre. Tale Gāyatrī recita: «O! Meditiamo su quell’eccelso Splendore della Divinità che è il Sole! Possa Esso illuminare il nostro intelletto!» (Ṛg Ve.: 3.62.10). Esporre una meditazione sul Brahman “qualificato da sovrapposizioni limitanti come quella costituita dal Gāyatrī” significa prospettare un singolare oggetto di meditazione, Gāyatrī, come straordinario supporto per l’intuizione e la diretta presa di coscienza del Brahman, portando il meditante a realizzare l’identità con Quello attraverso tale accesso immediato al trascendente. Ovvio, quindi, che non si tratta di un mantra come altri, il cui impiego è riservato a particolari circostanze contingenti, né tantomeno di un “seme” (bīja) di meditazione o proiezione e nemmeno, a maggior ragione, di un contenuto ripetitivo (japa) per gli atti di devozione. La peculiarità del Gayatri risiede nel suo intrinseco potere di stimolazione coscienziale, l’approccio deve essere compiuto tenendo in massima considerazione la sua natura.” [8]

Le traduzioni interpretative

Il Gāyatrī-Sāvitrī mantra è stato ed è tutt’ora oggetto di traduzioni interpretative, più o meno aderenti al Significato originario. Riteniamo che ogni tentativo di trasmetterne il Significato profondo con semplici parole sia impresa vana. Per questo il richiamo alle fonti e ai testi originari, dove l’insegnamento è dato in tutta la sua complessità: solo con un coinvolgimento di corpo, mente e spirito, attraverso un processo di profonda purificazione dalle scorie e dai veli della profanità è verosimile ci si possa avvicinare al Significato anagogico, ovvero alla Verità Ultima celata nel mantra. Pretendere di semplificare, se non addirittura banalizzare, una Rivelazione fondante della Tradizione, senza possedere le qualificazioni richieste, al massimo porta ad una formalizzazione erudita. Mentre Gāyatrī-Sāvitrī è sperimentazione operativa e vitale. Potremmo fermarci qui. Gli insegnamenti precedenti sono tutto ciò di cui abbiamo bisogno.  Quelle che seguono sono integrazioni, più che altro per completezza d’informazione, e magari confronto personale con quanto Rivelazione e Tradizione ci hanno lasciato in eredità. Doverosa precisazione: laddove consultati direttamente i testi, abbiamo indicato la fonte; negli altri casi non abbiamo potuto indicarla, in quanto mancante.

“Oṁ Meditiamo sullo splendore glorioso del divino Vivificatore. Possa Egli illuminare le nostre menti.”[9]

“Meditiamo sul Dio luminoso che è il Creatore del cielo, dello spazio, della terra, che è degno di adorazione e che diffonde la luce. Possa Egli illuminare la nostra intelligenza.”

“Oṁ Saluto alle sfere terrestri, dello spazio e del cielo. Meditiamo lo spirito luminoso del divino creatore che è degno di adorazione. Possa Egli dirigere le nostre menti.”

“Let us meditate on that excellent glory of the divine vivifying Sun, May he enlighten our understandings.”[10]

“May we attain that excellent glory of Savitar the god: So may he stimulate our prayers.”[11]
“Let us adore the supremacy of that divine sun, the god-head who illuminates all, who recreates all, from whom all proceed, to whom all must return, whom we invoke to direct our understandings aright in our progress toward his holy seat.”[12]

“Unveil, O Thou who givest sustenance to the Universe, from whom all proceed, to whom all must return, that face of the True Sun now hidden by a vase of golden light, that we may see the truth and do our whole duty on our journey to thy sacred seat.”[13]

Swami Vivekananda: “We meditate on the glory of that Being who has produced this universe; may He enlighten our minds.”

“We meditate on the effulgent glory of the divine Light; may he inspire our understanding.” –  “We meditate on the adorable glory of the radiant sun; may he inspire our intelligence.”[14]

“On this, of Savitrī the god, the choicest glory let us think. Our thoughts may he himself inspire!”[15]

 “We meditate upon the Divine Light of the adorable Sun of spiritual consciousness which stimulates our powers of spiritual perception.”  [16]

“Let us contemplate the most excellent splendor of God Savitri, so that he may inspire our contemplations.” [17]

“We adore Savituh That radiant splendor, Thy pure form- The source of all creation. We meditate upon Thy Divine radiance. Thee we behold. Inspire all our thoughts, Guide our soul, Open our inner eye-The eye of Wisdom.” [18]

“We meditate upon  that adorable effulgence of the resplendent Savitur, the life giver. May he stimulate our intellects.”

“I meditate on the radiant and most venerable light of the Divine, from which issues forth the triple world (the bhūḥ, bhuvaḥ, and svaḥ). May the Divine light illuminate and guide my intelligence.”

“Oh God! Thou art the Giver of Life, Remover of pain and sorrow, The Bestower of happiness, Oh! Creator of the Universe, May we receive thy supreme sin-destroying light, May Thou guide our intellect in the right direction.”

divisore fantasia geometrica

[1]Mantra मंत्र: dalla radice manas मनस्: ‘mente’ e dal suffisso tra त्र: ‘strumento, mezzo’, quindi  ‘strumento di pensiero’ o ‘andare oltre la mente’; altra possibile origine da manas: ‘mente’ e  dal verbo causale tārayati तारयति:   ‘passare oltre, attraverso, liberare da, condurre’, quindi ‘liberare la mente. Sillaba, parola o frase con la funzione di conduttore di energia spirituale. Il mantra è basato sulla potenza del suono, la cui vibrazione e risonanza influiscono sulla persona che l’emette e sull’ambiente circostante. La corretta pronuncia del mantra è tradizionalmente ritenuto un fattore importante. I mantra sono eseguiti attraverso il canto (japa जप ) in tre modalità:  a voce alta, sussurrata, silenziosa. La modalità silenziosa (ajapa-japa अजपजप), dove la vibrazione è interiore, è la più potente.

[2]Śrūti श्रुति: ‘Ciò che è stato ascoltato’. Rivelazione, corpus di conoscenze sacre, non è di origine umana, ‘trasmesso’ dai Ṛṣi delle origini; la Śrūti è infatti identificata con il termine di apauruṣeya (‘senza autore’).  Cfr:  www.academia.edu/Testi_Sacri_della_Tradizione

[3]Il Ṛgveda Saṃhitā ऋग्वेदसंहिता (raccolta degli inni del Ṛgveda) primo dei quattro Veda, è considerato la scrittura più antica dell’umanità. Comprende 10.552 sūkta सूक्त (inni) organizzati in dieci maṇḍala मण्डल (cerchi).

[4]Viśvāmitra विश्वामित्र: è uno dei ṛṣi o Sapienti più venerati dei tempi antichi in India. Considerato l’autore della maggior parte del terzo maṇḍala del Ṛgveda, incluso il Gāyatrīmantra. Secondo i Purāṇa पुराण solo ventiquattro ṛṣi fin dall’antichità hanno compreso l’intero Significato del Gāyatrīmantra e la sua potenza: Viśvāmitra il primo e Yājñavalkya याज्ञवल्क्य l’ultimo.

[5]Brahmaṛṣi ब्रह्मर्षि: ṛṣi o santo divino.

[6]Sāvitrī सावित्री: moglie di Brahma, divinità che presiede al Sole. Considerata la madre dei Veda.

[7]Mahāvyāhṛti महाव्याहृति: grande enunciazione (da mahā, grande e vyāhṛti enunciato, discorso, affermazione).

[8]Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, con il commento di Śaṅkara, Āśram Vidyā, Roma, 2004, pg. 1191

[9]Raimon Panikkar, “I Veda”, BUR, Milano, 2001, pg.51

[10]Monier Monier-Williams(1882)

[11]Ralph T.H. Griffith (1896)

[12]William Jones (1807)

[13]William Quan Judge (1893)

[14]S. Radhakrishnan (1947)

[15]Hume, Robert Ernest. The Thirteen Principal Upanishads. Oxford University Press

[16]I.K. Taimni, Gāyatrī, (Adyar: Madras, 1978), 57.

[17]Feuerstein, Georg. The Yoga Tradition: Its History, Literature, Philosophy and Practice. Prescott, Arizona: Hohm Press, 1998.

[18]Satyavan. The Gāyatrī Mantra: Yoga for Beginners. Brookline, Massachusetts: Autumn Press, 1974.

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