Premessa
Soprattutto in Occidente si è avuta una larghissima diffusione di pratiche che vengono proposte come ‘meditazione’. Tale diffusione è seconda soltanto alle pratiche fisiche (āsana) dello Yoga, spesso proposte come ‘yoga’ tout court. Sono due fenomeni che si ritiene abbiano origine in un comune fraintendimento riduzionista. Se, rifacendoci alla fonte della Tradizione, prendiamo come termine di paragone e riferimento gli Yogasūtra di Patañjali, risulta evidente una semplificazione fonte non solo di potenziali rischi, ma anche di snaturamento dell’essenza della Tradizione stessa.
La formulazione degli Yogasūtra è strutturata in otto aṅga (अङ्ग componenti, parti, membra, ausili, aiuti), compenetrati tra loro: Yama (यम), Niyama (नियम), Āsana (आसन), Prāṇāyāma (प्राणायाम), Pratyāhāra (प्रत्याहार), Dhāraṇā (धारणा), Dhyāna (ध्यान), Samādhi (समाधि)[1]. Questo breve contributo è tratto dal testo:
Dall’Uno della Tradizione ai Sistemi Aperti
॥ पातञ्जलयोगसूत्राणि ॥ PātañjalaYogasūtrāṇi
pratyāhāra प्रत्याहार
Il ‘punto di vista’ Yoga Vol III
Proponiamo la lettura e riflessione di un brano di Śrī Svāmī Sivananda su Pratyāhāra. Nella speranza che possa suscitare un impegno concreto in controtendenza con l’attuale scenario. Nello Yoga, che è una disciplina, un metodo scientifico, non esistono scorciatoie. Da cui le domande:
- Se si escludono, di fatto, Yama e Niyama, lo scopo delle Āsana è salvaguardato?
- Āsana e un po’ di Prāṇāyāma sono di per se sufficienti per passare direttamente alla pratica della meditazione (Dhyāna)?
- Di quale ‘meditazione’ stiamo parlando, quando ci troviamo di fronte a proposte avulse dal metodo nella sua integrità?
Śrī Svāmī Sivananda, Pratyāhāra
Riportiamo un estratto dal testo: Āsana, Prāṇāyāma e Pratyāhāra nel Rājayoga:[2]
Il Pratyāhāra è quella pratica per cui i sensi non si associano con i loro oggetti, ed imita la natura della materia mentale (chitta). (II-54)
Da qui ne deriva la suprema padronanza sui sensi. (II-55)
Il Pratyāhāra (controllo dei sensi) deriva dalla radice verbale, hri, che significa ritirare. Quindi, Pratyāhāra significa tirare indietro o ritirare i sensi e la mente dagli oggetti sensuali ed esterni; renderli praticamente esclusi dalla mente, il controllore di tutte le facoltà. I sensi sono tenuti sotto controllo da questa pratica. Dal Pratyāhāra inizia la reale vita spirituale interiore. Il mondo esterno è chiuso fuori.
Lo studente di Yoga dovrebbe praticare il Pratyāhāra dopo aver raggiunto qualche successo iniziale nella pratica di Yama, Niyama, Āsana e Prāṇāyāma, che preparano l’aspirante per questa pratica.
La mente viene resa calma dalla pratica del celibato e dall’assenza della cupidigia. Āsana e Prāṇāyāma allontanano l’irrequietezza; il Prāṇāyāma controlla le tendenze della mente verso l’esterno.
A seguito di ciò la mente può facilmente essere distaccata ed i sensi possono essere assorbiti nel Prāṇā o mente. Pratyāhāra o controllo dei sensi, dà forza spirituale interiore e grande pace di mente. Sviluppa il potere della volontà e rimuove ogni tipo di distrazione.
La pratica del Prāṇāyāma è seguita automaticamente dal Pratyāhāra. Quando la forza vitale è controllata dalla regolazione o dal controllo del respiro, i sensi vengono indeboliti. Essi sono affamati fino a morire, diventano emaciati, non possono sollevarsi ed agire quando vengono in contatto con i loro oggetti.
Nella mente c’è un potere che tende all’esternalizzazione o all’oggettificazione. È la tendenza della mente ad andare verso l’esterno, dovuto all’irrequietezza. Quando la visione è aperta verso l’esterno, l’avanzata veloce degli eventi impegna la mente e le energie mentali che tendono verso l’esterno, iniziano ad agire.
La mente è attratta verso gli oggetti. In più, a causa della forza delle abitudini, le orecchie e gli occhi immediatamente si rivolgono verso i suoni.
Gli oggetti ed i desideri sono una forza che va verso l’esterno. Un uomo irrequieto e aggressivo, pieno di desideri non potrà mai sognare una vita spirituale interiore. Egli è assolutamente inadatto alla pratica dell’introspezione. Quando le tendenze esternalizzanti della mente vengono arrestate, quando la mente è trattenuta nel cuore e quando tutta la sua attenzione è rivolta solo su se stessa, questa condizione è tale per cui la mente è rivolta all’interno ed incrementa la sua purezza (Sattva).
L’aspirante spirituale può fare una gran quantità di pratica spirituale quando ha messo in atto questo movimento verso l’interno della mente. Distacco e introspezione aiutano molto nel raggiungimento di questo stato mentale. Attraverso la costante pratica spirituale, la mente deve essere tenuta sotto controllo per far sì che non vada verso l’esterno. Deve essere condotta a muoversi verso l’interno, verso Dio, la sua casa originaria.
La mente è il comandante in capo, i sensi sono i soldati. I sensi non possono fare nulla senza la cooperazione della mente. I sensi non possono agire indipendentemente dalla mente. Essi possono operare solo in sua compagnia. Se potete disconnettere la mente dai sensi ci sarà automaticamente l’astrazione dei sensi. Una postura instabile, troppo parlare, frequentare troppe persone, troppo lavoro, troppo cibo, troppo camminare, troppi affari mondani, interessarsi troppo degli affari degli altri, tutto ciò produce troppa distrazione nella mente e crea ostacoli nella via della pratica del controllo dei sensi. Essi riempiono la mente con impressioni mondane e generano emozioni di basso livello.
Quando durante il lavoro siete insieme ad altre persone, fissate sempre e ripetutamente la mente sul vostro obiettivo divino. Rimanete nella base del vostro pensiero divino, che abbia forma o sia un’idea astratta. Questo vi servirà come una potente fortezza per proteggervi dall’assalto dei pensieri mondani.
I metodi del Rāja Yoga sono tutti esatti e scientifici. Sono pratiche rigide e graduate. Lo studente di Yoga mette con molta cautela i suoi piedi sulle scale del Rāja Yoga. I gradini o gli stadi sono stati tutti ben sperimentati da antichi esperti Yogī. Le “pillole” di Yoga sono ben preparate nel laboratorio di Yoga dopo un’attenta analisi, investigazione e ricerca. Esse non sono casuali prodotti di ciarlatani.
Muovetevi stabilmente ed attentamente e raggiungerete l’Eterna Beatitudine. Prima di tutto ritirate i sensi dagli oggetti, poi ritirate la mente dai sensi attraverso distacco, discriminazione e pratica; infine ritirate la mente dal Prāṇā praticando la ritenzione del respiro.
Ora immergetevi in Dio o nell’Assoluto ritirando tutti i pensieri, proprio come il sole si immerge nell’orizzonte alla sera ritirando tutti i suoi raggi. Praticate questo continuamente, con costanza.
Praticate un’eterna vigilanza, discriminazione, indagine, determinazione e risoluzione. Poi sopravverrà il Nirvikalpa Samadhi[3] e realizzerete la vostra essenziale natura. Sarete liberi dal ciclo delle nascite e delle morti. Purificazione, meditazione, illuminazione e assorbimento sono i quattro processi di ogni forma di Yoga.
Purificate per prima la vostra mente, poi praticate regolarmente la meditazione. Raggiungerete l’illuminazione e ci sarà l’assorbimento. La mente sarà assorbita in Brahman, l’anima individuale si immergerà nell’Anima Suprema e raggiungerete Mokṣa o Liberazione.
Quello studente di Yoga che inizia immediatamente la pratica di meditazione senza praticare l’astrazione è un’anima illusa. Egli non avrà successo nella contemplazione. Il Pratyāhāra è una dura disciplina. E’ disgustosa all’inizio, ma più tardi diventa molto interessante. Sentirete una forza interiore. Richiede una considerevole pazienza e perseveranza. Vi darà un enorme potere. Svilupperete una grandissima forza di volontà. Durante il corso della pratica, i sensi si dirigeranno ripetutamente, come tori selvaggi, verso gli oggetti. Voi dovete ritirarli sempre, continuamente e fissare la mente sull’obiettivo, proprio come il conduttore del carro trattiene i buoi impetuosi e li assicura alla barra.
Dovete ritirare i sensi gentilmente. Alcuni aspiranti operano invece violentemente. Questa è la ragione per cui essi possono sperimentare occasionalmente dei mal di testa.
Dovrete praticare il ritiro dei sensi uno alla volta. Operate per prima con il più turbolento di essi. Praticate il Pratyāhāra di questo particolare senso ed iniziate con questo; poi rivolgetevi ad un altro senso. Se cercate di agire su tutti in una volta, non avrete successo. Il compito sarà un lavoro molto faticoso e vi sentirete completamente esausti. Un parziale successo nella pratica del controllo non aiuterà molto lo studente di Yoga. Se il distacco svanisce e c’è un rilassamento nella pratica, i sensi possono diventare di nuovo turbolenti.
Questa è la ragione per cui il Signore Kṛṣṇa dice ad Arjuna: “O figlio di Kunti, i sensi eccitati di un uomo anche saggio, sebbene egli si stia sforzando, trasportano via impetuosamente la sua mente. Tali sono i sensi vagabondi che la mente deve controllare che portano via la comprensione, proprio come l’uragano porta via una nave sopra le acque” (B.G. II – 60 e 67). Padroneggiate la vostra postura, mantenete una posizione stabile; siate regolari nella pratica del Pratyāhāra; coltivate il distacco, l’indagine e la discriminazione.
Osservate sempre i difetti di una vita sensuale, come anche le reazioni dopo un godimento, il dolore, i desideri, ecc. . Sviluppate serenità, contentamento, pazienza; siate perseveranti, tenaci e sempre vigili. Pregate il Signore, cantate, fate japa ed ottenete la Grazia Divina. Osservate il silenzio (mauna), la moderazione nella dieta e praticate il celibato. Siate fermi nelle vostre scelte, vivete in solitudine. Siate decisi, puri e saggi. Frequentate la compagnia dei buoni e dei saggi e abbandonate le cattive compagnie, così avrete successo nel controllo dei sensi.
Ci sono parecchi metodi per avere successo nel Pratyāhāra. Un metodo diretto è la concentrazione. Sedete in una stanza tranquilla e ritirate i sensi; questo è il metodo Rāja Yoga per il Pratyāhāra. Formatevi una base spirituale di pensieri, sia con forma che con idee astratte. La mente riposerà su questa base quando è rilassata e lontana dal lavoro, proprio come un elastico rilasciato dalla sua tensione ritorna alla sua forma originale.
Un altro metodo è dividere la mente e fissarne una porzione su Dio. Lasciate che l’altra parte faccia il proprio lavoro, come un cantante che si accompagna con i tampura. Oppure, mantenere gli occhi aperti ma non focalizzarli su qualcosa, è un altro metodo. Se avete la sensazione che questo mondo è una manifestazione del Signore, l’attrazione dei sensi muore da sé.
Abbiate una forte convinzione e comprensione che la vera, durevole felicità si può avere soltanto nell’Ātman[4] interiore. Questo è un aiuto per controllare le tendenze verso l’esterno della mente. Il Pratyāhāra non può produrre una sensazione di assenza mentale; al contrario esso aumenta l’efficienza e la velocità della mente. C’è caos e disturbo solo in superficie. Immergetevi in profondità, nel centro, ritirandovi dagli oggetti dei sensi e guardate all’interno; godrete di una perfetta stabilità interiore e pace suprema. Nulla potrà disturbare la vostra calma o equanimità ora.
I Ṛṣi dei tempi antichi vivevano sempre in questo centro ed erano felici e pieni di gioia malgrado le varie, esterne condizioni di disturbo. Nulla poteva scuotere il loro equilibrio mentale.
Colui che è esperto nel Pratyāhāra può entrare nel sonno profondo nel momento in cui si stende sul suo letto. Napoleone poteva fare questo in quanto aveva una grande abilità. Quello Yogī che è ben stabilito nel Pratyāhāra può meditare con calma anche in mezzo alle esplosioni ed ai rumori di un campo di battaglia. Il successo nel Pratyāhāra dipende dalla forza delle passate impressioni yogiche che lo studente di Yoga possiede. Colui che ha praticato parzialmente Yama, Niyama, Āsana e Prāṇāyāma e Pratyāhāra nelle sue nascite precedenti, avrà successo nel Pratyāhāra in breve tempo in questa vita. Un neofita che si rivolge alla pratica dello Yoga per la prima volta in questa nascita, che non ha impressioni precedenti di altre nascite a suo credito, può aver bisogno di un lungo periodo di tempo per raggiungere una qualche definita, positiva realizzazione nel Pratyāhāra.
Uno può individuare se è un nuovo praticante nello Yoga o un vecchio studente di Yoga dalle sue proprie esperienze e dal grado di successo nella sua pratica in questa vita.
Per approfondire:
Scintillating Saturdays #60 – Yogacharya Dr Ananda explores “Pratyāhāra”, the forgotten limb of Yoga
youtube

[1]“aṣṭāṅgam, yogakriyāyāḥ aṣṭau bhedāḥ। yamaḥ, niyamaḥ, āsanaṃ, prāṇāyāmaḥ, pratyāhāraḥ, Dhāraṇā, dhyānaṃ, samādhiḥ – etāni bhavanti aṣṭāṅgāni” fonte: http://sanskritdictionary.com/
[2]Śrī Svāmī Sivananda, Āsana, Prāṇāyāma e Pratyāhāra nel Rājayoga, © The Divine Life Society, a cura di L. e L. Porpora, Assisi, 2002, pgg. 15-18; il testo è liberamente scaricabile per uso personale dal sito: edizioniporpora
[3]Nirvikalpa Samādhi निर्विकल्पसमाधि: mettere insieme, comunione, integrazione Cfr. Yogasūtra: Cap.1: 20, 46, 51; Cap. 2: 2, 29, 45; Cap.3: 3, 11, 37; Cap. 4: 1, 29; Bhagavad Gītā:2.54
[4]Ātman आत्मन्: Sé, essenza, il più elevato principio vitale personale, Anima individuale. Cfr. Yogasūtra: Cap. 2: 5, 21, 41; Cap.4: 13, 25. Bhagavadgītā:Cap.2: 45 – Cap. 4: 21, 40, 41, 42 – Cap. 5: 17 – Cap. 6: 6, 20 – Cap. 7: 19 – Cap.10: 20 – Cap. 13: 28