
Tratto dal libro: OṀ AUM Oṃkāra Praṇava Udgītha Ekākṣara
traduzioni e note a cura di Fabio Milioni e Liliana Bordoni, YCP, 2019
ED STAMPA: ISBN 978-88-31649-46-9
EPUB : ISBN 978-88-31649-95-7
Il Manusmṛti (Il “ricordo” di Manu), conosciuto anche come Mānavadharmaśāstra मानवधर्मशास्त्र, redatto presumibilmente introno al II secolo a.C., ha rappresentato e tuttora rappresenta uno dei testi fondamentali dell’induismo, insieme all’altrettanto presunta coeva Mahābhārata. E’ un Codice di condotta, scritto da Manu [1] [Mānavācārya] grande legislatore e Adepto, per una vita sociale in Armonia con l’ordine dell’universo (Dharma).
Riportiamo alcune citazioni dal testo, dalle quali é possibile verificare non solo la sacralità della OṀ, ma anche il contesto (luogo, tempo e modalità) nel quale era calata. Approfondire l’insegnamento contenuto nei testi sacri, in modo diretto e senza il ‘filtro’ delle re-interpretazioni di comodo tanto in voga in quest’epoca del Kaliyuga é un dovere per ogni sincero ricercatore che desidera abbeverarsi alla fonte cristallina della Tradizione.
In tal modo sarà possibile acquisire la necessaria consapevolezza del distacco esistente tra la Via come dovrebbe essere affrontata in armonia con l’insegnamento tradizionale e la sua pallida controfigura costituita dagli adattamenti di comodo del nostro tempo.
L’affievolimento dell’aspetto relativo ai Doveri, coniugato alla compiacente apertura indiscriminata a coloro che non possiedono le necessarie qualificazioni, snatura l’essenza dell’insegnamento.
La Tradizione una era ed una rimane, al di là del tempo e dello spazio. Affermare il contrario, oltre a generare le premesse per un sicuro fallimento, comporta anche il rischio di alimentare, coscientemente o meno, la cultura riduzionista e, ancor più grave, la contro-iniziazione. Per questo ci asteniamo da commenti, lasciando che sia il testo a ‘parlare’: al lettore la responsabilità dello studio, della riflessione, traendone le conseguenze. Oltre al testo originale, proponiamo la traduzione in italiano.
उपनीयं गुरुः शिष्यं शिक्षयेत्शौचमादितः ।
आचारमग्निकार्यं च सन्ध्यौपासनमेव च ॥ ६९ ॥
upanīyaṃ guruḥ śiṣyaṃ śikṣayetśaucamāditaḥ |
ācāramagnikāryaṃ ca sandhyaupāsanameva ca || 69 ||
69. Dopo aver iniziato un allievo, il Maestro dovrebbe innanzitutto impartirgli l’istruzione sulla purificazione, sulla condotta corretta, sui rituali del fuoco e sull’adorazione del crepuscolo.
अध्येष्यमाणस्त्वाचान्तो यथाशास्त्रमुदङ्मुखः ।
ब्रह्माञ्जलिकृतोऽध्याप्यो लघुवासा जितैन्द्रियः ॥ ७० ॥
adhyeṣyamāṇastvācānto yathāśāstramudaṅmukhaḥ
|brahmāñjalikṛto’dhyāpyo laghuvāsā jitaindriyaḥ || 70 ||
70. Quando l’allievo è pronto per la recitazione vedica, dovrebbe volgersi verso settentrione, sorseggiare l’acqua nel modo prescritto, vestirsi con abiti leggeri, tenere sotto controllo i suoi organi, unire i palmi nel Brahmāñjali; dopodiché dovrebbe essergli impartito l’insegnamento.
ब्रह्मारम्भेऽवसाने च पादौ ग्राह्यौ गुरोः सदा ।
संहत्य हस्तावध्येयं स हि ब्रह्माञ्जलिः स्मृतः ॥ ७१ ॥
brahmārambhe’vasāne ca pādau grāhyau guroḥ sadā |
saṃhatya hastāvadhyeyaṃ sa hi brahmāñjaliḥ smṛtaḥ || 71 ||
71. All’inizio e alla fine dello studio dei Veda, [l’allievo] dovrebbe sempre afferrare i piedi del suo insegnante e recitare il Veda con le palme unite: la tradizione chiama questo Brahmāñjali la giunzione vedica dei palmi delle mani.
व्यत्यस्तपाणिना कार्यमुपसङ्ग्रहणं गुरोः ।
सव्येन सव्यः स्प्रष्टव्यो दक्षिणेन च दक्षिणः ॥ ७२ ॥
vyatyastapāṇinā kāryamupasaṅgrahaṇaṃ guroḥ |
savyena savyaḥ spraṣṭavyo dakṣiṇena ca dakṣiṇaḥ || 72 ||
72. Dovrebbe afferrare i piedi del suo Maestro, incrociando le mani, toccando il piede destro dell’insegnante con la mano destra, il piede sinistro con la sinistra.
अध्येष्यमाणं तु गुरुर्नित्यकालमतन्द्रितः ।
अधीष्व भो इति ब्रूयाद् विरामोऽस्त्विति चारमेत् ॥ ७३ ॥
adhyeṣyamāṇaṃ tu gururnityakālamatandritaḥ |
adhīṣva bho iti brūyād virāmo’stviti cāramet || 73 ||
73. Quando è pronto per la recitazione vedica, dovrebbe chiedere al Maestro: “Insegnami, Signore ” senza essere mai pigro; e quando gli viene comandato “fermati!”, dovrebbe cessare [la recitazione].
ब्रह्मणः प्रणवं कुर्यादादावन्ते च सर्वदा ।
स्रवत्यनोङ्कृतं पूर्वं परस्ताच्च विशीर्यति ॥ ७४ ॥
brahmaṇaḥ praṇavaṃ kuryādādāvante ca sarvadā |
sravatyanoṅkṛtaṃ pūrvaṃ parastācca viśīryati || 74 ||
74. All’inizio e alla fine della recitazione dei Veda, l’allievo dovrebbe sempre recitare il Praṇava [la sillaba OṀ]. Se all’inizio non viene recitata, il Veda scivola via; se non viene recitata alla fine, il Veda si vanifica.
प्राक्कूलान् पर्युपासीनः पवित्रैश्चैव पावितः ।
प्राणायामैस्त्रिभिः पूतस्तत ओं।कारमर्हति ॥ ७५ ॥
prākkūlān paryupāsīnaḥ pavitraiścaiva pāvitaḥ |
prāṇāyāmaistribhiḥ pūtastata OṀ | kāramarhati || 75 ||
75. Quando è seduto sull’erba sacra, rivolto verso l’Oriente, mondato dai fili d’erba purificatori, purificato dall’aver controllato il respiro per tre volte, solo allora l’allievo diviene qualificato per la recitazione dell’OṀ.
अकारं चाप्युकारं च मकारं च प्रजापतिः ।
वेदत्रयान्निरदुहद् भूर्भुवः स्वरितीति च ॥ ७६ ॥
akāraṃ cāpyukāraṃ ca makāraṃ ca prajāpatiḥ |
vedatrayānniraduhad bhūrbhuvaḥ svaritīti ca || 76 ||
76. Prajāpati estrasse [come il burro dal latte] dai tre Veda i fonemi “a”, “u” e “m” , come bhūḥ-bhuvaḥ-svaḥ [terra, lo spazio intermedio e il cielo].
त्रिभ्य एव तु वेदेभ्यः पादं पादमदूदुहत् ।
तदित्यर्चोऽस्याः सावित्र्याः परमेष्ठी प्रजापतिः ॥ ७७ ॥
tribhya eva tu vedebhyaḥ pādaṃ pādamadūduhat |
tadityarco’syāḥ sāvitryāḥ parameṣṭhī prajāpatiḥ || 77 ||
77. Sempre dai tre Veda, Prajāpati, il Signore Supremo, ha estratto il verso di Sāvitrī [2] che inizia con: “Quello …”
एतदक्षरमेतां च जपन् व्याहृतिपूर्विकाम् ।
सन्ध्ययोर्वेदविद् विप्रो वेदपुण्येन युज्यते ॥ ७८ ॥
etadakṣarametāṃ ca japan vyāhṛtipūrvikām |
sandhyayorvedavid vipro vedapuṇyena yujyate || 78 ||
78. Recitando, alle due luci del crepuscolo, questa sillaba e questo versetto, preceduti dai Vyāhṛti[3] , il Brāhmaṇa, che conosce i Veda conquista il merito di recitare il Veda stesso .
ओङ्कारपूर्विकास्तिस्रो महाव्याहृतयोऽव्ययाः ।
त्रिपदा चैव सावित्री विज्ञेयं ब्रह्मणो मुखम् ॥ ८१ ॥
oṅkārapūrvikāstisro mahāvyāhṛtayo’vyayāḥ |
tripadā caiva sāvitrī vijñeyaṃ brahmaṇo mukham || 81 ||
81. Le tre inesauribili Grandi Chiamate [I Mahāvyāhṛti[4] , sacri riti dell’alba, mezzogiorno e crepuscolo] precedute da OṀ e dal triplice verso di Sāvitrī, dovrebbero essere considerate come la ‘bocca del Brahman’.
योऽधीतेऽहन्यहन्येतां त्रीणि वर्षाण्यतन्द्रितः ।
स ब्रह्म परमभ्येति वायुभूतः खमूर्तिमान् ॥ ८२ ॥
yo’dhīte’hanyahanyetāṃ trīṇi varṣāṇyatandritaḥ |
sa brahma paramabhyeti vāyubhūtaḥ khamūrtimān || 82 ||
82. Colui che recita instancabilmente questo versetto, giorno dopo giorno, per tre anni, si trasmuta in Ākāśa[5] [assumendo una forma eterea], e raggiunge il Brahman supremo.
एकाक्षरं परं ब्रह्म प्राणायामः परं तपः ।
सावित्र्यास्तु परं नास्ति मौनात् सत्यं विशिष्यते ॥ ८३ ॥
ekākṣaraṃ paraṃ brahma prāṇāyāmaḥ paraṃ tapaḥ |
sāvitryāstu paraṃ nāsti maunāt satyaṃ viśiṣyate || 83 ||
83. Il Brahman Supremo è il monosillabo OṀ; l’austerità più elevata è il controllo del respiro; nulla è più elevato del Sāvitrī; la verità è migliore del Silenzio.
क्षरन्ति सर्वा वैदिक्यो जुहोतियजतिक्रियाः ।
अक्षरं दुष्करं ज्ञेयं ब्रह्म चैव प्रजापतिः ॥ ८४ ॥
kṣaranti sarvā vaidikyo juhotiyajatikriyāḥ |
akṣaraṃ duṣkaraṃ jñeyaṃ brahma caiva prajāpatiḥ || 84 ||
84. Tutti gli atti vedici di oblazione e sacrificio passano. La sillaba (akṣara) OṀ deve essere riconosciuta come imperitura; ed è Brahman, e anche Prajāpati.
विधियज्ञाज् जपयज्ञो विशिष्टो दशभिर्गुणैः ।
उपांशुः स्यात्शतगुणः साहस्रो मानसः स्मृतः ॥ ८५ ॥
vidhiyajñāj japayajño viśiṣṭo daśabhirguṇaiḥ |
upāṃśuḥ syātśataguṇaḥ sāhasro mānasaḥ smṛtaḥ || 85 ||
85. Il sacrificio consistente nella recitazione a bassa voce è dieci volte migliore del sacrificio consistente in riti prescritti – cento volte, se la recitazione viene eseguita impercettibilmente; e mille volte, se ripetuta mentalmente.

[1]Manu मनु: lett. Sapiente, Saggio. Il nome è un termine generico; in ogni kalpa o intervallo da una creazione alla creazione seguente ci sono quattordici manu, che presiedono l’universo, ciascuno per il periodo di un manvantara. Al primo Manu [svāyaṃbhuvamanu], che ha generato i dieci Prajapati o Mahaṛṣi , è attribuito il Manusmṛti.
[2]Cfr. savitri सावित्री gayatrimantra गायत्रीमन्त
[3]Vyāhṛti व्याहृति: suoni o parole mistiche, discorso, espressione, affermazione. Sono recitati dopo OṀ da ogni Brāhmaṇa nell’esecuzione dell’adorazione quotidiana (Sandhyā). Secondo i testi variano da tre a sette (भूः, भुवः, स्वः, महः, जनः, तपः सत्यम्: bhūḥ, bhuvaḥ, svaḥ, malāḥ, janaḥ, tapaḥ e satyaṃ). I Vyāhṛti, generati all’inizio della creazione, rappresentano i sette sistemi planetari Bhūr, Bhuvaḥ, Svaḥ, Mahaḥ, Janaḥ, Tapaḥ e Satyaloka. Oltre a denotare i sette mondi, i Vyāhṛti denotano i sette piani (stati dell’Essere) della coscienza.
[4]Mahāvyāhṛti महाव्याहृति: “grande espressione”; usata come prefisso nei mantra (da mahā=grande e Vyāhṛti=espressione, discorso, affermazione); composta da Bhūḥ, Bhuvaḥ e Svaḥ, i nomi di tre mondi: Bhūḥ: il terrestre, Bhuvaḥ: il mondo che collega il terrestre al celeste, Svaḥ: celeste). La recitazione del Gāyatrī-mantra è tradizionalmente preceduta da oṃ e dal mahāvyāhṛti.
[5]ākāśa आकाश: etere, spazio; la base e l’essenza di tutte le cose nel mondo materiale; il primo elemento nella creazione (gli altri quattro, in sequenza, sono Aria, Fuoco, Acqua, Terra); uno dei pañcha mahabhuta पञ्चमहाभूत (i cinque grandi elementi); la sua caratteristica principale è Śabda शब्द (suono); nel corpo umano l’elemento etere si trova tra le sopracciglia ed è rappresentato dalla sillaba ha (ह).