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Introduzione alle meditazioni con seme

Gli Yogasūtra

Gli Yogasūtra di Patañjali descrivono il metodo che consente di ‘risalire’ dal piano materiale della manifestazione a quello sottile e ‘spirituale’ che conduce all’illuminazione e reintegrazione finale.

È quindi una trattazione che parte dal basso e sale verso l’alto, culminante nel processo meditativo (saṁyama); processo che si sviluppa attraverso le tre “fasi” della concentrazione (dhāraṇā), meditazione (dhyāna) fino all’illuminazione-enstasi (samādhi)[1].

Ricordiamo il significato originale dei termini, così come definiti da Patañjali: la “concentrazione” yogica è la base del processo meditativo; si può definire come la focalizzazione di breve durata della mente su un oggetto, che prepara il praticante ai successivi stadi di meditazione (quando la concentrazione diviene naturale e protratta ininterrottamente nel tempo). Da ciò ne deriva che, perlopiù, il termine “meditazione” usato in occidente in realtà va riferito a dhāraṇā, la concentrazione yogica.

In tal modo, partendo dagli elementi percepibili con i sensi della manifestazione, il processo meditativo (saṁyama), diventa sempre più rarefatto risalendo verso gli aspetti primigeni della manifestazione stessa.

Nella simbologia tradizionale esso può essere visto come una evoluzione attraverso delle guaine o involucri (i kośa): dal livello fisico (annamāyākośa) si passa al livello energetico (prāṇamāyākośa), poi a quello mentale (manomāyākośa), per culminare nei livelli coscienziali superiori (vijñanamāyākośa e ānandamāyākośa).

Il Sāṃkhya

Il complemento degli Yogasūtra di Patañjali (darśana Yoga), in accordo all’ortodossia vedica del Sanātana  Dharma[2],  è costituito dai Sāṃkhyakārikā di Īśvarakṛṣṇa (darśana  Sāṃkhya).

Il Sāṃkhya (letteralmente: enumerazione) descrive il processo opposto (pariṇāma), ovvero lo sviluppo della manifestazione che dagli elementi primigeni (Puruṣa e Prakṛti), genera progressivamente le varie componenti (tattva), dal sottile al grossolano, fino agli organi di senso e d’azione e agli elementi materiali e sottili.

I Tanmātra

sono i cinque elementi sottili che si evolvono da prakṛti:

  • suono – śabda शब्द
  • tatto – sparśa स्पर्श
  • forma- rūpa रूप
  • gusto – rasa रस
  • olfatto – gandha गन्ध

Essi sono in relazione agli organi di senso, Jñānendriya.

I Jñānendriya

  • oreccchio- śrotra श्रोत्र  (collegato all’elemento etere-ākāśa)
  • pelle- tvak त्वक्   (collegato all’elemento  aria-vāyu)
  • occhio – cakṣus चक्षुस् (collegato all’elemento fuoco-tejas)
  • lingua – jihvā जिह्वा (collegato all’elemento acqua-ap)
  • naso – ghrāṇa घ्राण (collegato all’elemento terra- pṛthivī)

Il processo meditativo[3]

Nei sūtra leggiamo che il flusso meditativo costituito dalla triade dhāraṇā, dhyāna e samādhi, pur facendo parte dello Yoga interno, è da considerarsi esterno rispetto alla meditazione senza “semi”, cioè priva di un supporto o sostegno.

Nelle fasi iniziali del processo meditativo, sono utilizzati degli elementi, definiti ‘semi’[4].
Essi, associati ai sensi, possono essere utilizzati operativamente come sostegni o supporti per il praticante, durante la meditazione.

Si possono pertanto sviluppare delle meditazioni specifiche basate su:

  • olfatto (oli essenziali)
  • vista o forma (yantra, trataka, immagini interiori)
  • udito (mantra).

Olfatto – meditazioni con gli oli essenziali

divisore fantasia geometrica

[1]Dhāraṇā, dhyāna e samādhi. Le tre componenti, unificate in un unico processo integrato, sono definite come Saṁyama.     cfr: Patañjali, Yogasūtra, (pubblicazioni) pgg.89, 92 sgg.;
antaryoga dharana dhyana samadhi samyama

[2]Cfr: testi della tradizione

[3]Per un’introduzione ai concetti qui espressi, cfr: cakra

[4]Meditazione sabīja, con seme; meditazione saguṇa, con qualità.

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