
Venkatesananda Sarasvatī [1] è stato, tra i più stretti discepoli di Śrī Svāmī Sivananda Sarasvatī, quello che maggiormente ha espresso un pensiero anticonformista, profondamente ancorato all’operatività della pratica quotidiana:
Che, come spiegato nella prefazione, include:
Il testo pone subito in chiaro che la parola Yoga è di per sé significativa e non dovrebbe essere associata ad ulteriori determinazioni, neppure quella, oggi diffusa, di rāja-yoga:
Lo Yoga di cui Svāmī Venkatesananda ci parla è esperienza vissuta, non semplice acquisizione astratta:
Il motivo di ciò è illustrato con un’immagine tipica della Tradizione, quella del ‘libro chiuso’:
Per questo consideriamo il testo una perla rara: con un linguaggio diretto e facilmente comprensibile, colui che è arrivato al compimento della Via può donare a coloro che l’hanno intrapresa un insegnamento pratico, operativo, da sperimentare direttamente ed in prima persona. Tenendo ben presente che:
Per questo ci risulta impossibile estrarre parti dell’insegnamento che assume pieno significato solo nella sua interezza, in particola modo quello sul Significato di Ῑśvara. Suggeriamo a coloro che hanno intrapreso, o intendono intraprendere, la Via di immergersi nella lettura e meditazione del testo.
Ci limiteremo pertanto alla citazione integrale relativa alla struttura unitaria del ‘corpus’ yogico (aṣṭāṅga) ed al ruolo in esso di yama e niyama, non senza aver evidenziato che la loro completa comprensione è possibile solo nell’accesso al testo nella sua armonica complessità. Ancora una volta lamentando l’assenza di una traduzione in lingua italiana.
Prima di procedere oltre, soffermiamoci un momento su alcuni Significati espressi:
- Esiste solo lo Yoga, il termine Rājayoga è fuorviante e riduttivo.
- yama e niyama come discipline ed osservanze
- le otto parti dello yoga come ‘membra’ di un unico ed inscindibile ‘corpo’, non come ‘gradini’ di una scala da salire uno dopo l’altro;
- l’importanza di praticare ‘ab initio’ tutte le otto componenti, sviluppandole progressivamente, non come livelli successivi (viene in mente l’immagine di un movimento a spirale, verso l’alto, da parte di otto componenti tra di loro comunque interconnesse);
- il samādhi come ‘illuminazione’, ‘sintonizzazione’.
Ed ora il commento interpretativo di yama e niyama, che suggeriamo di leggere e rileggere più volte, cercando di penetrarne l’essenza operativa e vitale:
Per approfondire il pensiero di Svāmī Venkatesananda, consigliamo le seguenti letture:
- Svāmī Venkatesananda, Sivananda’s Integral Yoga, 1998, in:
http://www.rsl.ukans.edu/~pkanagar/divine/ - Svāmī Venkatesananda, Vasistha’s Yoga, State University of New York Press, Albany, 1993
- Svāmī Venkatesananda, The Concise Yoga Vāsiṣṭha , State University of New York Press, Albany, 1984
- Sivananda’s lectures, chronicler Svāmī Venkatesananda, The Divine Life Society, Shivanandanagar, 2008, ISBN 81-7052-214-5
Fabio Milioni

[1]Fonte: http://swamivenkatesananda.org/index
[2]http://swamivenkatesananda.org/introduction (“Svāmī Venkatesananda Venkatesananda è stato il più anticonformista tra i più stretti discepoli di Svāmī Sivananda; mentre ha avuto una costante attenzione alla rivalutazione degli insegnamenti tradizionali dell’India, le sue riflessioni quotidiane più che sugli insegnamenti della tradizione erano incentrate sulla pratica del cammino spirituale e delle sfide quotidiane che essa poneva. Certamente, ha parlato spesso degli insegnamenti tradizionali, ma l’ha fatto semplicemente come spunto di meditazione; senza ribadire specifici insegnamenti, facendo soprattutto chiarezza sulle diffuse idee sbagliate rispetto lo yoga e il sentiero spirituale. Ha paragonato il percorso spirituale al [cammino sul] “filo del rasoio,” troppo sottile per poterlo vedere con gli occhi o comprenderlo con la mente. Come il suo intimo amico, J. Krishnamurti, ha insistito sul fatto che non dobbiamo seguire i consigli o il pensiero altrui, anche quello di leader religiosi e spirituali. Piuttosto, desiderava evidenziare che dobbiamo, ognuno di noi, essere una luce per noi stessi.”).
[3]Svāmī Venkatesananda, Yoga sutras of Patanjali, The Divine Life Society, Shivanandanagar, 1998, ISBN 81-7052-142-4
[4]Ibidem, foreword, pgg. v-vii (“a series of lectures he delivered on the Yoga Sutras of Patanjali, all of which were systematically edited by a devotee called Swami Lakshmi Ananda from Perth, Australia. I have gone through the manuscript of this book and find that it is excellent…… and I recommend this book to every seeker of Truth, who ardently pursues the Yoga System of Patanjali”).
[5]Svāmī Venkatesanada, Enlightened living, A new interpretative translation of the Yoga sūtra of Mahaṛṣi Patañjali, The Children Yoga Trust, P.O. Elgin Cape Province South Africa, 1975, Electronic Edition: 2008
[6]Op. cit. pg. XIX (“Cos’è lo Yoga? Il nome Rājayoga राजयोग non si trova negli Yogasūtra, compare esclusivamente la parola ‘yoga’. Di fatto, il Rājayoga non c’è – o è yoga o non è yoga. Perché la parola ‘yoga’ significa armonia, unione, essere insieme o incontrarsi, se creiamo divisioni nel nome dello yoga, nessuna di queste è yoga. Yoga è laddove te e me s’incontrano. Ciò che non conduce a quest’armonia non è yoga. Conseguentemente, anche se gli abbiamo assegnato il prestigioso nome di Rājayoga , l’autore [Patañjali] non l’ha definito in tal modo.” ).
[7]Ibidem, pg. XXIX (“Tutto lo yoga di cui stiamo parlando è assolutamente senza senso, finché un giorno si arriva a vivere la stessa esperienza che è in esso è descritta. Questo è il significato, la sostanza, la realtà delle parole, non la loro traduzione letta nel dizionario.“).
[8]Ibidem (“La scrittura è un libro chiuso, inutile e probabilmente pericoloso, se non si è arrivati a una chiara comprensione delle radici dei Significati“.)
[9]Ibidem, pg. 58 (“…la guida di un insegnante o di un guru può essere utile, per lo meno nell’enunciazione delle regole del gioco [della Via]. Il guru non gioca al vostro posto – altrimenti sarebbe il suo gioco, non il vostro.” ).
[10]Ibidem pgg. 181-183 (यमनियमासनप्राणायामप्रत्याहारधारणाध्यानसमाधयोऽष्टावङ्गानि॥२९॥
yamaniyamāsanaprāṇāyāmapratyāhāradhāraṇādhyānasamādhayo’ṣṭāvaṅgāni||29||.
Discipline, osservanze, posture, esercizio della forza vitale, introversione dell’attenzione, concentrazione, meditazione e Illuminazione (sintonizzazione) sono le otto parti dello yoga ovvero la diretta realizzazione del Sé. Quindi, queste parti devono essere praticate insieme, intelligentemente, in modo tale che tutte le impurità sul piano fisico, vitale e psicologico possano essere eliminate. In questo punto è introdotto quello che è poi stato definito ufficialmente come Rājayoga. Dopo aver descritto praticamente l’insieme della filosofia yoga [samādhi pāda समाधिपाद ], Patañjali fornisce delle indicazioni. La sequenza è veramente chiara, bella ed importante. Tutti noi sappiamo come agire, ma quello che sembra non riconosciamo è il fatto che, ci piaccia o meno, ogni nostra azione ha una sua filosofia e motivazione. Quando ciò è dimenticato, allora vi è confusione. Aṣṭāṅga significa otto arti (aṅga अङ्ग sono le membra, le parti del corpo). Non è raro, anche da parte di grandi Maestri ed insegnanti di yoga, utilizzare una terminologia differente – gli otto gradini. In ogni caso, facendo riferimento a questo [aṣṭāṅga] come gli otto gradini, possono sorgere dei fraintendimenti che in seguito si condensano in una dottrina. Così come quando salite i gradini di una scala, li salite uno alla volta, allo stesso modo l’insegnamento (da questo punto di vista) è che anche qui [nello yoga]ci sono otto gradini da salire, uno alla volta – Yama, Niyama, Āsana, Prāṇāyāma, Pratyāhāra, Dhārāna, Dhyāna e Samādhi. Invece di considerarli come gradini, Patañjali li caratterizza come aṅga-arti di un’entità. Tutto lo yoga è uno, le otto sono semplicemente le membra [dell’UNO-tutto]. Questa entità chiama yoga con queste otto membra devono essere vitalizzate insieme ogni giorno, per cui non devi operare pensando, “Oggi sto praticando la purificazione, dopo che avrò praticato la purificazione passerò all’accontentarmi, poi alle posture yoga [āsana], ecc.” Dopodiché sarai morto! Ad ogni modo, se stai guardando a questo metodo come composto da otto membra costaterai che una singola di esse è inadeguata, imperfetta; otto imperfezioni messe insieme non fanno una perfezione. Un bambino non è un assemblaggio di otto membra – è una persona, un essere nella sua totalità. E’ possibile che alcune membra crescano prima delle altre, ma devono esserci tutte sin dall’inizio. Approcciato da tale prospettiva, suggerisce che sin dall’inizio devi praticare in modo integrato, assicurandoti che tutte queste otto membra sono integre ed unite e che sono caratterizzate dalla luce della sapienza, che è indivisibile; e questo deve riguardare ognuna di esse. Se conserverai questo nella mente, l’insieme delle cose diviene bello e nulla è meccanico…” ).
[11]Ibidem, pgg. 183-185 (Yama è il primo membro dello yoga. E’ stato variamente descritto come restrizione, auto-controllo, regola, santità e disciplina. Come disciplina significa studio della propria natura[nosce te ipsum], il trampolino delle azioni. Alcune spiegazioni ci dicono che se non diventi saldamente stabilito in yama non puoi intraprendere la pratica dello yoga. Ma poi, se accetti la precedente visione del samyama [संयम saṃ-yama — tenere insieme, legare, associazione, integrazione; pratica combinata e simultanea di Dhāraṇā (concentrazione), Dhyāna (meditazione) e Samādhi (Illuminazione)], quando sei perfettamente consolidato in yama sei illuminato. D’altro canto, yama è possibile solo se anche le altre membra dello yoga sono praticate insieme. Yama non significa restrizione ma disciplina. Lasciateci chiamarla virtù. Yama e niyama non sono cose da fare, ma verità da comprendere. Sono semplici se ci si sforza realmente di comprendere che esse sono in se stesse le manifestazioni fedeli di una ricerca vigorosa della realtà. Non sono né discipline che ci sono imposte da altri, discipline auto-imposte né mezzi di auto-controllo del tipo ’Sopprimo le mie inclinazioni ed anche i bisogni naturali’. Non-violenza, veridicità, purezza, ecc. richiedono che il Sé (le cui azioni sono conosciute come violenza o spirito di dominazione) sia controllato con la vigilanza. Disciplina non è qualcosa che devi fare con grande sforzo, ma è consapevolezza della verità. Quando la verità è compresa, è la verità stessa che agisce. Kṛṣṇa, nella Bhagavadgītā, ha rivelato una grande verità: “Tu sei l’amico ed il nemico di te stesso. Se conduci una vita di auto-controllo sei il tuo amico. Se perdi l’auto-controllo, sei il tuo nemico”. In questo non c’è costrizione, ma un’indicazione di una verità. Per questo lo studente deve scoprire da solo l’auto-disciplina nello yoga, non lottando per coltivare le virtù elencate in yama-niyama. Il semplice fatto che ci sia la necessità di coltivarle indica che esse [le Virtù] non sono già presenti, e che forse esistono le qualità a loro opposte [vizi]! Ogni sforzo per coltivarle esaurisce la propria energia. Quindi il Maestro suggerisce che, mentre pratichi le āsana, osservi il comportamento corporeo. Indipendente da quale postura stai facendo, è tutto il corpo che partecipa, l’intelligenza interiore ristabilisce equilibrio e comodità [Sthirasukhamāsanam स्थिरसुखमासनम् YS II.46]. Analogamente, nella meditazione scoprirai l’intelligenza che opera dietro le limitazioni del corpo e della mente (pensiero ed emozioni) e delle limitazioni dell’individualità. Quello che c’è dietro di esse è pura intelligenza o coscienza, che è indivisibile. L’intelligenza che opera nel corpo è indivisa. Quando questa verità è realizzata in modo diretto, yama-niyama e tutte le restanti auto-discipline seguiranno senza sforzo. E’ come nel caso di un bambino: sei vuoi farlo sorridere, gli solletichi i piedi, non gli pizzichi le guance. Quando realizza la tua unità con tutta la vita, la virtù o auto-disciplina diviene naturale. Quando comprendi che l’auto-ignoranza può essere dissipata o illuminata attraverso la conoscenza di se stessi (l’illuminazione della propria ignoranza essendo di per se auto-conoscenza), cosa stai cercando di fare quando pratichi le āsana o quando trattieni il respiro nel prāṇāyāma? Nel quarto capitolo degli Yogasūtra c’è una bellissima risposta: “Tutti vostri sforzi per coltivare le virtù e disciplinarvi facendo āsana, prāṇāyāma ecc. sono come le azioni di un buon contadino o giardiniere”. Il giardiniere rimuove gli ostacoli. La luce interiore splende incessantemente e non offuscata tutto il tempo ma appare come se ci sia un’ostruzione al suo funzionamento. (Quando lo yogī coltiva le virtù, sradica i vizi e si auto-disciplina con āsana, prāṇāyāma ecc, sta semplicemente rimuovendo gli ostacoli[il velo]. C’è stato un dibattito perenne tra gli insegnanti e gli studenti dello yoga concernente la qualificazione dei praticanti yoga. Cosa viene prima, yama-niyama (disciplina etica) o dhyāna (meditazione)? E’ possibile praticare o addirittura apprendere la meditazione se non si è saldamente stabiliti in yama-niyama? D’altro canto, è possibile trovare il proprio punto di appoggio in yama-niyama se non si apprende come meditare, guardare interiormente, osservare se stessi e riconoscere i trucchi della mente ribelle? Perciò, quale viene prima? Gurudev Svāmī Sivananda ha detto, “Entrambi.”).
2 commenti su “Lo Yoga nell’insegnamento di Svāmī Venkatesananda”
HARI OM!
Ho incontrato Swami Venkatesananda nel ’74 e l’ho seguito negli anni successivi. Da allora, su suo incoraggiamento, mi occupo di tradurre i suoi insegnamenti, sia dai libri pubblicati che da registrazioni delle sue conferenze.
Alcune di queste traduzioni sono raccolte in un blog:
– https://venkatesananda.blogspot.com. Altre sono state pubblicate da:
Edizioni Istituto di Scienze Umane, Roma
– Lo Yoga Integrale di Sivananda
– Aspetti dello Yoga
Il “Ramayana” è pubblicato da – Edizioni Vidyananda, Assisi
La ringrazio della bellissima citazione che fate di lui su questo sito.
Mi piacerebbe anche sapere di più sul vostro lavoro.
Distinti saluti,
Pasquale (Vidyasagar)
Namaste!
Grazie Pasquale per il commento e le informazioni, interessanti e utili, di cui faremo tesoro.
Noi cerchiamo di seguire uno stile di vita coerente con l’insegnamento della Tradizione.
Dopo aver insegnato per alcuni anni oggi prevalentemente ci dedichiamo alla ricerca e alla scrittura di articoli ( per il sito) e di libri, attività che ci impegna molto, sperando di poter offrire spunti di riflessione e approfondimento a chi è autenticamente interessato.
Abbiamo preso visione del blog https://venkatesananda.blogspot.com/
veramente ben fatto e ricco di materiali su questo grande Maestro.
Il link del blog é stato inserito sia nella bibliografia sia nelle risorse esterne.
Una risorsa importante per i lettori di lingua italiana, ai quali ‘Lo Yoga della Tradizione’ si rivolge.
Om Shantih