
Una riflessione[1] a parte riteniamo debba essere dedicata al Significato di Īśvara praṇidhāna, che, come abbiamo avuto modo di constatare, costituisce un concetto complesso e comunque interpretato in modi difformi dai vari commentatori. I riferimenti ad Īśvara sono numerosi, la tematica è di particolare ampiezza e complessità. In tale direzione ci si è potuti giovare, grazie alla preziosa indicazione di Loretta Migliarino, di uno specifico insegnamento sapienziale di Śrī Aurobindo:
“27. [Kṛṣṇa:]Lo Yogī che conosce le due vie, o figlio di Prithà, non può smarrirsi. Perciò, o Arjuna, realizza il tuo Yoga.[2]
“Dopo tutto, l’essenziale è di unire l’intero essere al Divino, in tutti i modi e così completamente che l’unione divenga naturale e continua, facendo della vita un costante ricordo di Dio – non solo in pensiero e in meditazione ma anche nell’azione, nel lavoro e nella battaglia. L’ingiunzione: “Ricordati di Me e combatti”, significa che il nostro pensiero non deve per un solo istante perdere il contatto con L’ Eterno; neppure negli urti della vita corrente che abitualmente occupano l’intera mente. È una condizione che sembra assai difficile da realizzare, quasi impossibile. In realtà non è possibile se altre condizioni non sono state previamente realizzate. Se consciamente siamo divenuti un solo “Sé” con tutto – un Sé che nel nostro pensiero è sempre e solamente il Divino – se i nostri occhi e gli altri sensi vedono e sentono il Divino ovunque, in modo che non sia possibile sentire né pensare con i sensi non illuminati né essere null’altro che non sia ciò che il Divino ha celato e manifestato nell’assieme di questa forma, se la nostra volontà nel suo profondo sentire è unita a una volontà suprema, e se ogni atto della volontà, della mente e del corpo è sentito come proveniente da questa suprema volontà, come il suo movimento, impregnato di questa volontà o identico ad essa, allora ciò che la Bhagavadgītā richiede può essere integralmente compiuto. Il ricordo dell’Essere divino non è più un atto intermittente della mente, diviene la condizione naturale delle nostre attività e, in un certo senso, la sostanza stessa della nostra coscienza. Il jīva ha stabilito la giusta e naturale condizione – il rapporto spirituale col Purushottama – e tutta la vita è divenuta uno Yoga, un’unità perfetta e tuttavia in via di un eterno adempiersi”
Ulteriore elemento di riflessione abbiamo riscontrato direttamente nell’XI° discorso, nel testo curato da Śrī Swāmi Sivananda, lo ‘Yoga della visione della forma cosmica’, dove Arjuna si rivolge a Kṛṣṇa, manifestazione di Śiva, con le seguenti parole:
Così commentate:
La traduzione di Śrī Aurobindo corredata di note esplicative è concordante:
Così come quella curata dallo Gnoli:
Quindi Kṛṣṇa=Yogeśvara.
L’utilizzo di appellativi differenti per l’Essere Supremo, così come la relazione tra Essere Supremo ed essere umano sono una costante in tutta la Tradizione Vedica. La Gītā ne costituisce un esempio emblematico. Kṛṣṇa, in particolare nell’XI° discorso, viene evocato più volte con appellativi differenti, tra i quali Viṣṇu विष्णु in XI.24 e Brahman ब्रह्मन् in XI.37; in X.12 Arjuna gli si rivolge chiamandolo Param Brahman[7] che, come evidenziato da Śrī Svāmī Sivananda:
Per un approfondimento, si rimanda allo studio, accompagnato da riflessione e meditazione, degli insegnamenti di Śrī Aurobindo in ‘The Divine Teacher’ e ‘The Human Disciple’[13].
Sono esempi significativi, che non si comprende come possano essere ignorati e dei quali si dovrebbe tenere conto in ogni dissertazione sull’Īśvara degli Yogasūtra.
Fabio Milioni

[1]tratta dal testo: Dall’Uno della Tradizione ai Sistemi Aperti, Patañjali Yogasūtra. Il “punto di vista” dello Yoga Vol I -Yama e Niyama, delle astensioni e delle osservanze.
[2]Śrī Aurobindo, “ Lo Yoga della Bhagavad-Gītā”, Mediterranee, Roma, 1999, pg. 141
[3]Śrī Svāmī Sivananda, The Bhagavadgītā, The divine Life Society, Śivanandanagar, 2013 (14th edition) pg. 262 (“XI.4. Se Tu, o Signore, pensi che per me sia possibile vedere [la tua forma cosmica], allora fallo, o Signore degli Yogī [Yogeśvara], mostrami il Tuo imperituro Sé.”).
[4]Ibidem (“Questa visione suprema può essere ottenuta esclusivamente mediante la sua Grazia. Yogeśvara significa anche ‘il Signore dello Yoga’ … Il Signore degli Yogī è Yogeśvara. Yoga è l’identità dell’anima individuale con l’Assoluto. Colui che è in grado di donare questa realizzazione di identità all’aspirante spirituale è Yogeśvara.”).
[5]Ibidem pg.165
[6]Ibidem. pg.190
[7]Cfr. www.wisdomlib.org
[8]Ibidem, pgg.242-43 (“La parola Param indica l’Assoluto, puro e senza attribuzioni [Nirguṇa], libero da attributi limitanti…. Il ‘Brahman inferiore’ è il Brahman con qualità (Saguṇa) o Īśvara, Brahman con attributi limitanti o l’oggetto scelto dai devoti per la meditazione.”).
[9]Huet, op. cit. pg 129
[10]Monier-Williams, op. cit. pg 737
[11]Cfr https://www.wisdomlib.org/definition/brahman>
[12]Ibidem, in Reconciliation of the paths, pg.xviii (“… Ciò è fatto al fine di creare nell’aspirante una fede verso la sua divinità favorita, l’Ishta Devata. Śiva, Hari e Devi sono uno. Sono diversi Aspetti del Signore.” ).
[13]In The complete works of Sri Aurobindo vol 19, Essays on the Gita, Sri Aurobindo Ashram Press, Pondicherry, 1997, pgg. 12-29