Prima pubblicazione in: Vedanta Kesari dicembre 2012 pp.528-533
©Yogacharini Meenakshi Devi Bhavanani, Direttore dell’International Centre for Yoga Education and Research, Kottakuppam, Tamil Nadu.
Il testo originale “The Sound of Yoga Demystifying the Basics of Yoga” è consultabile accedendo al link:
academia.edu The Sound of Yoga Demystifying the Basics of Yoga
L'uso popolare di 'Yoga'
Più si diventa maturi, maggiore è la tentazione di rimanere completamente in silenzio, come il sereno Dakshinamurthy, seduto, rivolto a sud, con quattro devoti discepoli ai suoi piedi che ascoltano attentamente il suo silenzio. Le parole sono diventate così a buon mercato, come i prodotti dei supermercati, prelevati dagli scaffali, per lo più confezionati, che non contengono nulla. Parlate, parlate e parlate ancora. L’elegante frase di Shakespeare lo descrive bene: ‘Tutto rumore e collera, che non significano nulla‘. Si ascolta il suono della parola ‘Yoga‘ riverberare in ogni angolo del globo: dalla radio, dal DVD, dal cinema, dalla televisione. Si vede la parola (rivestita in inglese) ovunque: pubblicità, articoli dei giornali, negozi di libri, riviste. Qual’è il Significato di Yoga nel mondo? La sua essenza può essere catturata in una parola, un suono? Può essere spiegato? Può essere descritto? Questa semplice parola sanscrita, due sillabe, vecchia come le montagne, ha catturato l’immaginazione del mondo da Timbuktu agli iglù dell’Artico! C’è una magia nel suono stesso? Fa vibrare in qualche modo una corda profonda nel cuore dell’uomo, suscitando un indicibile desiderio per un’esperienza inimmaginabile? Può ‘Yoga‘ essere spiegato con le parole? No! Deve essere “sentito” e “vissuto”. Anche i Buddha (gli Adepti Illuminati) possono solo ‘indicare la Via’. Tutte le spiegazioni possono essere solo ‘indicazioni’ rispetto alla giusta direzione. La colpa, caro ricercatore, non risiede nelle stelle, ma in sé stessi, come quando, mentre il guru indica i cieli, la miopia egoistica vede solo il dito del guru!
Il vero significato di Yoga
Quando Alice si lamentò con il Cappellaio Matto (nel classico racconto di Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie) perchè non stava usando le parole in modo corretto, quel tipo particolare, in modo abbastanza scontroso, le rispose: ‘Quando uso una parola, significa esattamente quello che intendo significare, né più né meno‘. Questo cattura oggi l’essenza della parola ‘Yoga‘. È degradata a significare qualsiasi cosa l’utilizzatore decida di affermare! Dai nostri Ṛṣi [ऋषि : veggenti, Sapienti] ci viene insegnato che ogni suono ha in realtà una corrispondenza intrinseca (chiamata Sat). La parola non può essere “usata per significare qualsiasi cosa l’oratore intenda significare“. Deve essere usata in modo tale da riflettere fedelmente il significato vibratorio essenziale del suono, come la luna riflette la luce del sole! Il suono dello Yoga è il silenzio. Quiete. Il grande Mahaṛṣi [Grande Sapiente] Patañjali cattura per sempre la sua essenza in una sola, semplice frase: ‘Yoga è il contenimento delle fluttuazioni della mente‘. [योगश्चित्तवृत्तिनिरोधः yogaścittavṛttinirodhaḥ] Citta, la forma-mente, deve cessare di ‘chiacchierare’. Successivamente lo Yoga diventa un’esperienza e non una parola. Il messaggio, chiaro e semplice, è stato consegnato attraverso i secoli, ‘Fermati e sappi che io sono Dio‘, ha detto il Geova ebreo al suo indisciplinato discepolo Mosè. I grandi Sapienti hanno detto: ‘Siediti immobile, in silenzio. Questo è tutto ciò che occorre conoscere e ciò che tutti voi dovete sapere ‘. L’essenza dello Yoga può essere sintetizzata in tre brevi frasi: ‘Siediti eretto! Taci! Ascolta! Solamente!’ Queste tre ingiunzioni sono le cose più difficili da realizzare per l’uomo moderno! L’essere umano deve diventare un Essere. L’anima deve evolvere rispetto alla fase del “fare”, propria della natura animale. Solo allora si può essere stabili e conoscere Dio. L’animale non può essere consapevole. È programmato per muoversi per la sopravvivenza! In un certo senso, ‘essere fermi’ va contro il nucleo stesso dell’istinto di sopravvivenza-abhiniveśa [अभिनिवेश attaccamento all’esistenza terrena dovuta alla paura della morte], aggrappandosi alla vita! Quindi, la difficoltà di coltivare la quiete e il silenzio. Perché uno dovrebbe sedersi correttamente? (Cammina dritto, parla in modo corretto? Pensa in modo retto? Parla in modo retto?) Perché uno dovrebbe stare in silenzio? Fisicamente, emotivamente, mentalmente? Perché si dovrebbe ascoltare? Sia i suoni esterni così come i suoni interni? Mahaṛṣi Patañjali, il Maestro dello Yoga, fornisce la risposta, nel primo Sūtra dei suoi celebri Yoga Sūtra:
अथ योगानुशासनम् athayogaanuśāsanam
‘Ora iniziamo la disciplina della ricerca della nostra Essenza’.
Adesso! Non domani! Non ieri! Ora! L’aspirante yogico cerca di conoscere ‘Ciò che una volta conosciuto uno, tutto e conosciuto ‘. Atha implica ‘ora’, il momento presente. Questo cambiamento, questa trasformazione, questo silenzio deve cominciare ora! Il secondo Sūtra del primo capitolo (Samadhi Pada) di Patañjali Yoga Sūtra, naturalmente, è il più noto:
योगश्चित्तवृत्तिनिरोधः yogaścittavṛttinirodhaḥ
Lo Yoga è la cessazione delle fluttuazioni della mente subcosciente. La mente cosciente, la mente umana, può essere silenziosa. Ma la mente subcosciente, la mente animale, il grande residuo di tutte le esperienze di milioni di incarnazioni passate, è un calderone bollente di pensieri selvaggi, turbolenti, contrastanti, desideri, impulsi. Questa subcoscienza deve essere portata alla coscienza. Deve essere affrontato e conquistato, così come il Ṛṣi Agastya che bevve l’oceano per stanare i demoni nascosti nelle sue profondità. Una volta che i demoni sono stati visti, possono essere distrutti. Lo Yoga è il processo di ‘vedere i demoni’, liberando in tal modo lo spirito dal loro vizioso controllo. Il terzo Sūtra del primo pada racconta quale sarà il risultato di questo sforzo.
तदा द्रष्टुः स्वरूपेऽवस्थानम् tadā draṣṭuḥ svarūpe’vasthānam
Allora il ricercatore è stabilito nella forma del suo vero Essere. In altre parole, il Sādhaka (ricercatore della Via) diventa ciò che veramente è. Si stabilisce nella propria forma essenziale, che è Atman, Brahman, Śiva, il Puruṣa-la grande Persona, l’Anima Suprema. Quali sono le caratteristiche di questa forma essenziale? Sat-Cit-Ananda. Sat significa realtà, o verità, (‘ciò che è’), Cit è coscienza, e Ananda è eterna beatitudine. Quali sono i mezzi o la disciplina, Sādhana साधन Abhyāsa अभ्यास, impegno continuo, adesso. Nel secondo Sūtra si afferma: “rendere tranquilla la mente subcosciente.” Conoscere il proprio vero sé deve calmare la mente. In questi primi tre Sūtra è esposta tutta la scienza dello Yoga. Comincia ora, calma la mente. Poi, restare in tale stato e realizzare il proprio sé, che è la più alta beatitudine. Il resto dei 196 Sūtra si basano su questa idea. Si afferma: lo Yoga è uno stile di vita. Questo stile di vita è comportarci momento per momento con consapevole disciplina e moderazione. Questo porterà alla realizzazione dell’obiettivo. Quindi, lo Yoga è ‘Sforzo continuo e consapevole verso livelli superiori di Coscienza‘. I Ṛṣi l’hanno affermato nel passato e Svāmī Vivekananda, alla soglia del ventesimo secolo, con la sua voce carismatica gridò: ‘Sollevati! Risvegliati! E non fermarti fino a quando non avrai raggiunto l’obiettivo!’
Il Primo passo nello Yoga
Il primo passo nello Yoga è il risveglio alla coscienza dal sonno profondo dell’incoscienza animale. (purtroppo, il sonno profondo è abbastanza piacevole!) Una volta risvegliato, ci si deve poi alzare, e agire, così come ha agito Arjuna, per adempiere lo Svadharma [स्वधर्म], il proprio scopo esistenziale, per il quale si è nato! Il più importante di tutti — non si deve smettere di sforzarsi, di lavorare, fino al raggiungimento dell’obiettivo. Patañjali espone gli otto passi necessari che si devono compiere una volta che si è verificato il risveglio. In otto parole, ci mostra come vivere: yama-niyama-āsana-prāṇāyāma-pratyāhāra-dhāraṇā-dhyāna-samādhi
[यम नियमासन प्राणायाम प्रत्याहार धारणा ध्यान समाधयोऽष्टावङ्गानि ॥२९॥
yama-niyama-āsana-prāṇāyāma-pratyāhāra-dhāraṇā-dhyāna-samādhayaḥ aṣṭau-aṅgāni ||2.29||].
Come prima cosa, partire dalle fondamenta. Non si deve costruire la propria casa sulla sabbia. Il Ṛṣi ha definito un praticabile ed eccellente sistema di moralità e di etica. Questo è il fondamento della Sādhana. Senza questo fondamento rappresentato da Yama e Niyama, non può esserci Sādhana. Yama significa controllo, contenimento della natura animale con tutti i suoi modelli costitutivi: sopravvivenza, istinto, comportamento. Bisogna frenare tutti i viziosi tratti animaleschi. L’animale sostiene la sua vita attraverso la violenza. Deve uccidere per poter vivere. Così Patañjali ci dice che il primo passo da compiere, per elevarsi dalla natura animale e per cominciare a costruire una reale natura umana, è quello di respingere consapevolmente ogni forma di violenza
—Ahiṃsā, il Grande Voto, che distingue l’uomo dalla bestia. Questo è il primo Yama, il Mahāvrata (महाव्रतम Grande Voto) che deve essere fatto proprio se si vuole percorrere il sentiero yogico. È la decisione consapevole di uscire dallo stato animalesco, dal dominio dell’istinto di sopravvivenza, dall’inseguire gli istinti sensoriali, dalla competitività a tutti i livelli e dai riflessi condizionati e dalle pulsioni istintive del sub-conscio. È la soglia della porta che separa il dominio del subconscio mentale (Citta) della vita animale dall’esistenza umana nel regno di Manas, la Sapienza. Ecco perché gli antichi hanno proclamato: Ahiṃsā Paramo Dharma, la non violenza è il Dharma (la legge, l’ordine universale) più elevata. I restanti quattro Yama seguono nella sua scia. Satya, la verità o la veridicità è la capacità di vedere la realtà, Sat, (‘ciò che è’) chiaramente, allineando i propri pensieri, parole ed azioni a quella realtà. Il terzo passo è Brahmacharya, la rinuncia consapevole dei propri pensieri, parole e azioni dalla necessità animale di autoriproduzione. Questo rende la propria vita sublime, concentrando l’energia sessuale in vitale creatività. Asteya trattiene l’impulso animale che istintivamente sente ‘tutto ciò che non è sorvegliato o lasciato incustodito, che può essere preso con l’omicidio o con la forza, mi appartiene’. Aparigraha è il contenimento della necessità animale di afferrare, tenere, mantenere.
Così gli Yama sono una specie di pratipakṣa bhāvana —
[वितर्कबाधने प्रतिपक्षभावनम्॥३३॥
Vitarkabādhane pratipakṣabhāvanam||33||]
Atteggiamenti mentali che sono coscientemente costruito come il diretto opposto di bestiali istinti animali. Quando gli Yama prendono radici nell’anima fervente, inizia lentamente a manifestarsi la quiete dell’essere, la quiete necessaria per la trascendenza. Iniziando a padroneggiare Yama, l’inquietudine animale comincia ad attenuarsi. Inoltre, se si desidera avanzare nel percorso dello Yoga, è necessario coltivare la forza e la volontà di poter mantenere questi voti. Questo può essere realizzato, passo dopo passo, nei restanti sette livelli dell’Aṣṭāṅga Yoga.
Il secondo passo è Niyama
I Niyama costituiscono l’evoluzione della coscienza, Manas, la qualità dell’esistenza che differenzia l’uomo dalla bestia. Gli Yama sono la negazione della natura animale. I Niyama affermano una scelta più elevata e consapevole: vivere in modo compiuto. Śauca, il primo, è la purezza, la pulizia, una purificazione del carattere da cui sono stati sradicati tutti i tratti o istinti animali: fisicamente mentalmente, emotivamente. Śaucam implica una purezza di motivazione: non si è più spinti dal sub-cosciente, dagli istinti animaleschi: lussuria per gratificazione sessuale, potere, dominio, supremazia territoriale o materiale, possesso. Il movente è costituito semplicemente dal desiderio di evolvere verso stati superiori dell’Essere. Santoṣa è la soddisfazione di essere ciò che si è, con quello che si ha, con cui si esiste. Non è noiosa compiacenza, pigrizia o il rilassamento-abbandono che si verifica quando i desideri sono saziati. No! È la profonda consapevolezza che ogni situazione in cui ci si viene a trovare è esattamente ciò di cui si ha bisogno per progredire sul cammino spirituale. Tapas o tapasya è il fuoco della disciplina, che brucia le impurità e rafforza la volontà. Tapasya è il potere di persistere, per spingersi oltre ogni ostacolo con grande allegria. È la perseveranza nel portare avanti il lavoro quando si vorrebbe rinunciare. È la capacità di affrontare sfide tremende con mani sapienti e un cuore felice. Svādhyāya è costante auto-analisi, in ogni momento, una consapevolezza che in ogni istante sa esattamente ciò che si sta facendo, pensando, dicendo… ed il perché!
‘Uomo! Uomo conosci te stesso e conoscerai l’Universo.”
è ciò che Niyama vuole che noi facciamo.
Patañjali ha tenuto per ultimo il più importante Niyama, servendocelo come un ‘dolce spirituale’. Un cucchiaio di zucchero per prendere, rendendole digeribili, le medicine dei precedenti quattro Niyama e cinque Yama. Il quinto Niyama è Īśvara praṇidhāna, ovvero sottomissione alla volontà di Dio. L’Islam si basa su questo Niyama. Dice ‘Inshallah‘ se Allah vuole’. ‘Lascia che sia!’ Infatti, Islam significa: colui che si sottomette al grande Dio (Allah). Gesù Cristo era un maestro di questo Niyama. Non ha detto: ‘Sia fatta non la mia, ma la tua volontà’. Gli stoici greci e romani, più di 2000 anni fa, costruirono tutta la loro filosofia dell’accettazione di ‘ciò che è’ con equanimità. Ora, questa è la cosa più peculiare della meravigliosa codificazione di Patañjali. Dopo averci presentato un sistema piuttosto complesso di rigorose discipline spirituali, afferma questo quinto Niyama: (II: 45)
समाधिसिद्धिरीश्वरप्रणिधानात्॥४५॥
Samādhisiddhirīśvarapraṇidhānāt||45||
Samādhi è il frutto del perfetto e totale abbandono alla volontà Divina. In altre parole, l’obiettivo dello Yoga può essere raggiunto coltivando un atteggiamento di perfetto abbandono alla divina volontà. È qui che lo Yoga diventa Bhakti [devozione]. Īśvara praṇidhāna è perfetta Bhakti e spiega come grandi anime di tutte le culture, tempi e climi hanno raggiunto l’Essere Supremo senza nemmeno sentire la parola Yoga, come i mistici cristiani San Francesco e Santa Teresa; i maestri Sufi come Rumi; Gli universalisti come Kabir e Shirdi Sai Baba, e i grandi giganti come Śrī Rāmakṛṣṇa e Ramana Mahaṛṣi che nella loro vita non hanno mai praticato prāṇāyāma o āsana. Ma che hanno scalato le immense vette di Bhakti raggiungendo la più completa beatitudine – l’Unione con l’Amato-chiamato con vari nomi quali Samādhi, Nirvana, Mokṣa!
Se gli Yama e i Niyama sono perfezionati, la mente entra in uno stato di Pace, profondamente immobile. Le Citta vṛtti, le onde del subconscio mentale, sono arrestate. Emerge quella pace che è oltre la ragione. Si diviene “stabiliti nel vero stato dell’Essere”. L’obiettivo dello Yoga è raggiunto. Questo si chiama ‘Kriya Yoga‘, lo Yoga della vita umana, vivente in modo perfetto nel quadro della Legge cosmica, codificata da Patañjali come Pañca Yama e Pañca Niyama, cinque restrizioni e cinque osservanze, i primi due passi sulla Via dell’Aṣṭāṅga Yoga. Ciò che afferma Patañjali è che se si vive una perfetta vita morale ed etica, si otterrà naturalmente Mokṣa, o entrare in Samādhi.
I sei passi successivi
Tuttavia, pochi possono raggiungere o mantenere un tale stato [dell’Essere]. Pochi possono raggiungere la perfezione di Yama e Niyama. Gli altri Sādhaka [aspiranti spirituali, apprendisti] devono andare oltre. Essi devono utilizzare strumenti aggiuntivi per costruire il silenzio perfetto, la perfetta immobilità. Il terzo passo diventa āsana. La parola āsana deriva dalla radice asi che significa “essere”. Quindi āsana significa ‘entrare nel proprio vero Essere”. Sthirasukhamāsanam [स्थिरसुखमासनम्॥४६॥] āsana è la posizione del corpo mantenuto costantemente immobile senza sforzo. Āsana è quindi lo sviluppo del silenzio corporeo. Il quarto passo è Prāṇāyāma, il controllo dell’energia vitale per mezzo del respiro. Lo scopo ultimo del Prāṇāyāma è “fermare il respiro”, letteralmente, ’far tacere il respiro’. Pratyāhāra, il quinto passo, è la trascendenza ed il silenziamento delle impressioni dei sensi, distaccando la coscienza dagli stimoli sensuali. Questo è il silenzio dei sensi. Nel momento in cui il sesto passo, Dhāraṇā, è compiuto, il corpo, il respiro e i sensi saranno silenziati, reso silenziosi e immobili. La Coscienza a questo punto può essere unidirezionale e focalizzata su un singolo punto, un Bindu. La mente è letteralmente legata a un punto. La quiete, che è stata sviluppata nei cinque passi precedenti, diventa più profonda quando la mente si localizza costantemente in un punto di focalizzazione. centro. Fino a questo momento, per coltivare il silenzio e la quiete, il singolo Jiva [l’Anima individuale] ha utilizzato la Forza della volontà (Icchā Śakti), il potere della discriminazione e della conoscenza (Jñāna Śakti) e il potere dell’azione (Kriyā Śakti). C’è una spinta verso l’obiettivo, un impegno, uno sforzo di volontà. Poiché questo sforzo porta frutto, nel settimo passo (Dhyāna) e ottavo passo (Samādhi), la spinta si trasforma in attrazione e il Jiva è ora attratto nel più elevato stato di Silenzio e di Quiete. Dopo lo sforzo intensivo durante le prime sei fasi — moderazione degli impulsi emotivi, animali con Yama; lo sviluppo consapevole delle umane virtù con Niyama; il controllo e la profonda consapevolezza del corpo e la sua immobilità con Āsana; il dominio dell’ irrequietezza rallentando, frenando, fermando il respiro con Prāṇāyāma; l’arresto, la chiusura, il distacco dagli stimoli sensoriali con Pratyāhāra; l’intensa focalizzazione su un ‘punto’ degno di devozione con Dhāraṇā, dopo di che non c’è più niente da fare. Dal settimo passo in poi, ci si ‘deve lasciar andare ed Essere’. Da Dhyāna in poi La ‘spinta’ dei singoli sforzi diviene ‘l’abbandono all’attrazione del Signore’. Ora lo sforzo non è utilizzato. Adesso deve verificarsi il ‘lasciar andare lo sforzo’. Questo avviene attraverso la grazia del Guru, il Karma passato e lo sforzo precedente. Tutto il lavoro è stato compiuto. Ora inizia ‘l’attesa, l’osservazione, il silenzio’. Dhyāna è l’inizio della stabilizzazione nello stato [dell’Essere] di mistico assorbimento. Cosa succederà dopo? È meglio dirlo con le parole di Sri Ramakrishna:
La bambola di sale entra nell’oceano. Chi è rimasto per descrivere l’esperienza? Si è entrati nel Grande Silenzio. Quando cerchiamo di esprimerlo, le parole improvvisamente con ne sono capaci. Nei domini più elevato, isolo il Silenzio Parla. Il suono finale dello Yoga è…. quel silenzio!
Con questo contributo siamo onorati di inaugurare la collaborazione con l’Autrice, Yogacharini dei nostri tempi, di cui riportiamo un breve profilo.
Ammaji Yogamani Kalaimamani Yogacharini MEENAKSHI DEVI BHAVANANI è la Direttrice e Acharya residente dell’ICER / Ananda Ashram. Dharmapatni e discepola del Yogamaharishi Swami Gitananda Giri Guru Maharaj, ha dedicato la sua vita ai suoi insegnamenti e alle istituzioni da lui fondate. Ha servito come eminente esperto di yoga presso il Consiglio Centrale per la Ricerca in Yoga e Naturopatia (CCRYN), Ministero della Salute del Governo Indiano. Consigliere del Moraji Desai National Institute of Yoga, Nuova Delhi. Membro del Consiglio accademico dell’Università Pondicherry e membro onorario del World Yoga Council della International Yoga Federation. Direttrice di Yoganjali Natyalayam, centro popolare per la propagazione dello yoga classico.
Fabio Milioni
3 commenti su “Il suono dello Yoga. Eliminando le mistificazioni sulle basi dello Yoga”
Indubbio e’ il valore delle suggestioni orientali. Della loro profonda conoscenza ( perche’ sapere non vuol dire conoscere ) e fantastico , detto in un modo moderno, e’ il sincretismo con concetti profondi espressi da maestri o praticanti occidentali.
Quando si entra nel tecnico, cio’ che viene dato come ineffabile profondo connubio con l’armonia , viene spesso presentato ovviamente con una certa Scala Filosoforum, una certa gerarchia data dei passaggi lungo il camino che sono espressi con numeri definizioni ecc.. Qui in ogni cultura operativa che tenda alla realizzazione di se stessi, ( perche’ questo il punto, al di la’ delle tecniche), cio’ che in sintesi rappresenta lo scoglio, il dualismo che si scontra dentro di noi, e’ quello che pone l’ego cerebrale e cerebralizzato, che deriva dai sensi avvelenati, di fronte alla pulsione irrefrenabile, solo per alcuni, di riacquistare la visione diretta e purissima del bambino che e’ in noi e che va raggiunta preventivamente, prima e/o contemporaneamente l’acquisizione della conoscenza diretta del cuore. Questo e’ fondamentale. Ma bisogna restare saldi nella realta’ prima. Il Sat indiano non e’ che il Seth egizio. Il saturno. Satana contrapposto a Lucifero. Seth e Horo. Due fuochi che rappresentano la virtualita’ prima. L’oscillazione , il ritmo, che da’ luogo in rapido succedersi allo spirito condensato. IL Solve e Coagula Alchimico. Che tutto domina e che rappresenta il metodo per risalire, spiritualizzare, la materia. A ritroso. E’ si speculare ma non solo nel senso che destra e sinistra vengono capovolte. Perche’ in relta’ in uno specchio viene invertito e collegato indissolubilmente il dentro ed il fuori.
La Chandogya Upanishad , all’ottava lettura, cosi’ coma la ricordo, parla di vene sottili che escono dal cuore, che consistono in una sostanza sottile. Color zafferano, bianca, blu giallo e rossa. In verita’ il sole lassu’ e’ color zafferando e’ bianco e’ blu e’ giallo e’ rosso. Poi prosegue: come una via maestra tra due villaggi va dall’uno all’alto , similmente i raggi del sole vanno ai due mondi, quelli di qui in basso e quelli di li’ in alto. Dal sole che e’la’ in alto, in alto questi raggi fluiscono in queste vene, in esse insinuandosi da queste vene essi fluiscono insinuandosi nel sole. Di qui si sancisce la nascita dei Nadi indu’, dei Mo egizi, dei meridiani cinesi. Questi canali energetici, chiamiamoli meridiani che e’ piu’ comprensibile, e’ evidente che vengono associati ai raggi solari Il papiro di Ebers, dice che vi sono 12 Mo che partono dal sole cosi’ dal cuore partono questi raggi. E’ chiaro che qui si parla dei 12 segni, quindi siamo in campo astrologico e magico egizio. Cosi’ e’ completa l’analogia tra cuore e sole e pure le colorazioni associate ai 12 segni. Evidentemente si parla di frequenze e sequenze cadenzate di, per cosi’ dire, patterns quantici di fotoni che entrano ed escono in un certo modo dagli occhi.Qui si parla di cromoterapia, detto con un termine moderno. Ma sarebbe troppo lungo qui approfondire. Quel che e’ certo e’ che pure i meridiani, che sostengono la vita, acquisiscono negli organi i loro colori. Modulati dai 7 pianeti, chacra, o ghiandole endocrine alle quali le funzioni sottili si appoggiano.