Presentazione
Purtroppo, gran parte delle opere di Dasgupta non sono state ancora tradotte in italiano. Eppure, per i sinceri ricercatori della Via dello Yoga, l’eredità che ci ha lasciato Dasgupta è un tesoro prezioso, pieno di gemme rare e luminose. D’altro canto, la ricerca di novità che detta legge nel settore editoriale fa passare in secondo piano contributi di profondo ed elevato spessore. Con questo piccolo contributo[1] confidiamo possa nascere l’interesse da parte di accademici che, avendo buone relazioni con le case editrici del settore, possano farsene carico ottenendo finanziamenti per la traduzione e soprattutto la distribuzione e stampa dei preziosi lavori di Surendranath Dasgupta.

“Yoga Purificatory Practices (Parikarma).[6]
The purpose of Yoga meditation is to steady the mind on the gradually advancing stages of thoughts towards liberation, so that vicious tendencies may gradually be more and more weakened and at last disappear altogether. But before the mind can be fit for this lofty meditation, it is necessary that it should be purged of ordinary impurities. Thus the intending yogīn should practise absolute non-injury to all living beings (Ahiṃsā), absolute and strict truthfulness (Satya), non-stealing (Asteya),absolute sexual restraint (Brahmacarya) and the acceptance of nothing but that which is absolutely necessary (Aparigraha).These are collectively called Yama. Again side by side with these abstinences one must also practise external cleanliness by ablutions and inner cleanliness of the mind, contentment of mind, the habit of bearing all privations of heat and cold, or keeping the body unmoved and remaining silent in speech (Tapas), the study of philosophy (Svādhyāya) and meditation on Īśvara (Īśvara-praṇidhāna). These are collectively called Niyamas.”[7]
Concetti ribaditi in modo sintetico anche nei suoi saggi filosofici posteriori:
Si tratta di una posizione estrema, senza possibili distinguo ed eccezioni. Viene da riflettere e meditare se il Sūtra di Patañjali, nella sua essenza, non affermi un concetto analogo. Le eccezioni ad Ahiṃsā, infatti, le troviamo elencate e giustificate da altri autori, spesso basate su richiami ai testi della tradizione Vedica; nulla ci autorizza a dedurne (con un processo inverso) che fossero ammesse dallo stesso Patañjali, né dalla Tradizione di cui è stato strumento di trasmissione. Certamente è un tema ‘scabroso’ non solo per la cultura Indiana, visto il suo impatto potenziale sul giustificazionismo delle uccisioni in guerra ma anche delle uccisioni di esseri viventi animali, che tutte e tre i monoteismi occidentali, in vario modo, supportano e giustificano.
Si riportano qui di seguito tradotti in italiano alcuni passi particolarmente pregnanti, sullo scopo pratico dello Yoga:
Sull’importanza di Abhyāsa e Vairāgya lungo tutto il percorso della Sādhanā:
Sul ruolo centrale di Ahiṃsā e la sua massima espressione come “Grande Voto”:
La sua realizzazione utilizzando la “meditazione sugli opposti”:
Degna di nota la riflessione conclusiva su Yama e Niyama:
L’ opera di Dasgupta include inoltre la trattazione, in capitoli dedicati, del ruolo di Īśvara nello Yoga e della relazione tra Yoga e Sāṃkhya.[23]
Fabio Milioni

[1]Tratto dal testo: Dall’Uno della Tradizione ai Sistemi Aperti, Patañjali Yogasūtra. Il “punto di vista” dello Yoga Vol I -Yama e Niyama, delle astensioni e delle osservanze.
[2]Surendranath Dasgupta, Yoga Philosophy in relation to other systems of Indian thought, Motilal Banarsidass, Calcutta 1930 (reprint 1979).
[3]Ibidem pg.7
[4]Ibidem pg.8
[5]Surendranath Dasgupta: A History of Indian philosophy, vol I, Cambridge University press, 1922 (cap. VI – Yoga and Patañjali, pgg 226-238)
[6]Ibidem pg. 270, Śauca è descritto ma non citato espressamente nel testo.
[7]“Pratiche Purificatorie dello Yoga (Parikarma). Nello Yoga lo scopo della meditazione è quello di rendere stabile la mente in modo graduale, orientando i pensieri verso la liberazione, in modo tale da indebolire progressivamente le tendenze negative fino a farle scomparire completamente. Ma prima che la mente sia idonea per questa forma di meditazione, è necessario eliminare l’ostacolo rappresentato dalle impurità ordinarie. Per questo l’impegno dello yogīn dovrebbe essere quello di praticare un’assoluta non-violenza verso tutti gli esseri viventi (Ahiṃsā), verità rigorosa e assoluta (Satya), astinenza dal furto (Asteya), assoluta moderazione sessuale (Brahmacarya) e non accettazione di doni, contentandosi solo di ciò che è assolutamente necessario (Aparigraha). Queste astinenze sono denominate collettivamente Niyama. Inoltre, fianco a fianco con queste astinenze si devono praticare anche: la pulizia esterna (abluzioni) e la pulizia interna (appagamento della mente, la mente, l’abitudine ad essere oltre gli opposti come calore e freddo, o restare in impassibile silenzio (Tapas), lo studio della filosofia (Svādhyāya) e la meditazione su Īśvara (Īśvara-praṇidhāna). Queste regole sono denominate collettivamente Niyama.”
[8]Surendranath Dasgupta, Philosophical Essays, University of Calcutta, 1941, pg. 194 (“Occorre precisare che l’ideale dello Yoga non è soddisfatto operando esclusivamente una realizzazione etico/morale. Lo Yogin cerca la liberazione da ogni schiavitù, inclusa quella dalla sua mente. Il raggiungimento di uno stato di perfetta moralità ed autocontrollo, ottenuta acquisendo le virtù universali della non-violenza, veridicità, celibato, purezza, contentezza, forza d’animo, ecc. (tecnicamente definite Yama e Niyama) è ovviamente indispensabile. Ma questo non è tutto. Questo, infatti non può condurlo alla liberazione completa. Egli è orientato a diventare uno ‘spirito’ libero e senza vincoli anche rispetto alla dimensione mentale. Conseguentemente, quando la sua mente è stata sufficientemente purificata è quindi non più distratta dall’impegno attinente il rispetto delle regole etico/morali, può impegnarsi in un lavoro di livello superiore, attinente il controllo degli stati mentali. “
[9]Ibidem, The Nyāya- Vaiśeṣika Philosophy, pg 317
[10]“La fede (śraddhā), la non-violenza, fare del bene a tutti gli esseri, la veridicità, il non rubare, il controllo del sesso, la sincerità, il controllo dell’ira, le abluzioni, l’assunzione di cibo puro, la devozione alla divinità prescelta, il digiuno, il rigoroso rispetto dei doveri fissati dalle scritture e l’esercizio delle funzioni assegnate a ogni casta e ad ogni fase della vita, vengono enumerate da Praśastapāda come generatrici di dharma. La persona che aderisce rigorosamente a questi doveri ed a Yama e Niyama (Yoga di Patañjali) e raggiunge lo stato dello Yoga con la meditazione sui sei padārthas, raggiunge un dharma che porta alla liberazione (Mokṣa). Śrīdhara fa riferimento al metodo di ottenimento della liberazione del Sāṃkhya-Yoga”.
[11]Ibidem, The Jaina Philosophy, pg 200
[12]“Anche se notevole enfasi è posta sulle virtù di Ahiṃsā, sūnṛta, Asteya e Brahmacarya, la radice di tutte loro è rappresentata da Ahiṃsā. Le virtù di sūnṛta, Asteya e Brahmacarya devono essere seguite direttamente, restando comunque corollari secondari di Ahiṃsā. Ahiṃsā pertanto può essere definita come la virtù etica fondamentale del Giainismo; il giudizio su qualunque azione può essere espresso verificandone la conformità rispetto allo standard di Ahiṃsā; sūnṛta, Asteya e Brahmacarya sono considerate virtù, mentre la loro trasgressione conduce a hiṃsā (violenza verso altri esseri)… coloro che si battono per il raggiungimento dell’emancipazione devono praticare queste virtù secondo lo standard più alto e più severo, chiamato mahābrata (Grande Voto). .. Ahiṃsā secondo un capofamiglia, richiede l’astinenza dall’uccidere animali, ma secondo il mahāvrata [Grande Voto] è richiesto un comportamento rigoroso ed attento verso se stessi che impedisca di essere la causa di qualsiasi tipo di ferita o di offesa sotto qualsiasi forma per qualsiasi forma vivente.”
[13]Ibidem, The Ethics of the Gītā and the Buddhist Ethics, pg 505
[14]“I doveri della vita etica Hindū consistevano principalmente nei compiti di casta previsti e nelle funzioni specifiche delle varie fasi della vita, questo è noto come varṇāśrama-dharma. Inoltre c’erano anche alcuni compiti che erano comuni a tutti, chiamati i sādhāraṇa-Dharma. Così Manu menziona: fermezza (dhairya), perdono (kṣama), autocontrollo (dama), non-rubare (cauryābhāva), purezza (Śauca), controllo dei sensi (indriya nigraha), saggezza (DHI), apprendimento (vidyā), verità (Satya) e controllo dell’ira (akrodha) come esempi di sādhāraṇa-dharma. Praśastapāda cita: la fede e i doveri religiosi (dharma-śraddhā), non-violenza (Ahiṃsā), fare del bene agli esseri viventi (Bhuta-hitatva), verità (Satya-vacana), non-rubare (Asteya), continenza sessuale (Brahmacarya), sincerità di mente (anupadhā), controllo dell’ira (krodha-varjana), la pulizia e le abluzioni (abhiṣecana), l’assunzione di cibo puro (śuci-dravya-sevana), devozione alla divinità vedica (viśiṣṭa-devatā-bhakti) e vigilanza nell’evitare trasgressioni (apramāda).”
[15]Ibidem, The Philosophy of the Bhagavadgītā, pg.510
[16]“Tra le virtù principali definite ‘costituzione divina’ (daivī sampat): coraggio (abhaya), purezza del cuore (sattva-saṃśuddhi), conoscenza delle cose ed azione conforme, generosità, controllo della mente, sacrificio, studio, Tapas, sincerità (ārava), non-violenza (Ahiṃsā), verità (Satya), controllo dell’ira (akrodha), rinuncia (tyāga), tranquillità della mente (śānti), mansuetudine (apaiśuna), gentilezza verso la sofferenza (bhūteṣu-dayā), assenza di avidità (alolupatva), tenerezza (mārdava), sentimento di vergogna rispetto gli altri quando si compie un’azione sbagliata (hrī), perseveranza (acapala), energia (tejas), attitudine al perdono (kṣānti), pazienza (dhṛti), purezza (Śauca), non pensare male degli altri (adroha) e non essere vacui. Queste sono le virtù che liberano i nostri spiriti, viceversa: vanità, orgoglio, presunzione, rabbia, crudeltà e ignoranza sono i vizi che ci legano e ci rendono schiavi. L’uomo che ama Dio non dovrebbe danneggiare qualsiasi essere vivente, dovrebbe essere amichevole e solidale verso tutti e dovrebbe inoltre non essere attaccato alle cose, non dovrebbe avere nessun egoismo, essere equanime nel dolore e nel piacere, pieno di clemenza verso tutti.”
[17]Surendranath Dasgupta, Yoga as Philosophy and Religion, Motilal Banarsidass, Delhi, 2007 (prima ed. 1924).
[18]Ibidem pg. 92
[19]Ibidem pg. 135
[20]Ibidem pg. 139-140
[21]Ibidem pg. 141
[22]Ibidem pgg. 144-145
[23]Ibidem pgg. 159-165