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Il canto delle vocali

Il suono è l’Origine, il linguaggio della Creazione.
Vibrazione, canto, musica.
Vita.

Postura, respirazione e canto[1]

Attraverso lo Yoga apprendiamo il collegamento tra un corretta postura e la respirazione.
Entrambe sono indispensabili per la libertà della voce.

Ci soffermiamo sulla postura per il canto, ma, per prendere confidenza con la propria voce, è importante anche reimparare a camminare sentendo la pressione del piede a terra, l’articolazione del ginocchio, il basculamento del bacino, il ritmico muoversi delle braccia, la continuità della linea del dorso e del collo protesi verso l’alto, il controllo della cintura addominale.
In Sukhāsana (posizione facile) o in un’altra posizione a gambe incrociate, abbiamo una base solida formata dal bacino radicato a terra sugli ischi e dalle gambe; la colonna ben dritta, che si allunga verso l’alto; il pavimento pelvico attivo; la curvatura lombare mantenuta nella sua fisiologica lordosi, grazie al controllo della cintura addominale; il torace aperto come le spalle, che rimangono rilassate; il collo dritto, la nuca allungata, il mento parallelo al suolo.
In Vajrasana egualmente l’attenzione è sull’allungamento della colonna, dal sacro alla cervicale, sull’apertura del torace e il rilassamento di spalle e braccia.
E’ inoltre importante portare leggermente il coccige verso il basso, in modo che il pube, risalendo un poco verso l’alto, contribuisca al mantenimento della corretta lordosi lombare, senza sforzo.
Se si canta in piedi o seduti si aggiunge il ruolo fondamentale dei piedi premuti bene a terra.
Dai piedi al pavimento pelvico. Dai piedi alle corde vocali.
Dal tallone alla nuca, alla laringe; tutti i muscoli sono collegati.

Con la respirazione addominale impariamo a sintonizzarci sul movimento del diaframma.
Ritrovare l’elasticità di questo muscolo è di grande importanza per la salute dell’intero organismo.
All’inspirazione l’aria entra e il diaframma scende, spingendo i visceri verso il basso a premere contro la parete dell’addome, la cui muscolatura interna, al di sotto dell’ombelico, rimane leggermente controllata, tonica (cintura addominale).
Nel canto ciò evoca le sensazioni di appoggio e di sostegno.
L’espirazione parte dalla contrazione dei muscoli pelvici e addominali, che spingono verso l’alto il diaframma.
In questo movimento ondulatorio assume grande importanza la muscolatura posteriore; il suo allungamento permette al diaframma di rilasciare tensioni e contratture.
Si canta dietro. Quando l’aria entra, possiamo percepire l’allargamento anche posteriore della gabbia toracica. Tutti i muscoli della schiena, dalle scapole in giù si muovono.
Ponendo le mani lateralmente sul torace con i mignoli sulle ultime costole fluttuanti e i pollici dietro, respiriamo e sentiamo l’allargamento posteriore.
Allargarsi, riempirsi d’aria e allungarsi….
Allungarsi per allinearsi, verticalizzarsi e creare spazio all’interno del corpo perché si amplino le cavità di risonanza, laddove la colonna vertebrale forma le insenature (tratto cervicale e lombare). Non solo: più ci si allunga, maggiore sarà la capacità di svuotare l’aria[2].
Le cavità che risuonano al passaggio dell’aria e della voce: il naso, gli zigomi e la fronte, la bocca e la faringe. Ma l’emissione del suono è sempre un’esperienza che coinvolge tutto il corpo.
“…è il corpo che, nell’atto cantato in special modo, ma durante la fonazione in genere, entra in risonanza come un oggetto vibrante, grazie agli effetti prodotti dallo scheletro. La struttura ossea partecipa nella sua totalità, dato che la colonna vertebrale è il supporto e la sede in cui si generano il rinforzo e la diffusione del suono, dopo che questo è stato prodotto a livello delle corde vocali della laringe[3].”
Il lavoro sulla voce è una ricerca della propria voce, del suono che esprime l’unicità dell’Essere.

Le vocali

Le vocali nascono dall’articolazione dei muscoli del volto come le consonanti, ma solo nelle vocali l’aria fluisce libera all’esterno e il suono assume la “forma”  della bocca.
Solo nell’emissione vocalica la lingua rimane ferma.

Vocalizzazioni dell’antica India per ritrovare l’unità corpo-mente

Proponiamo una vocalizzazione estratta dagli esercizi vocali dell’antica India, accompagnati, nella versione originale, dal suono del Tambura o Tampura, uno strumento a corda simile al liuto.
F. Leboyer[4] ci ha trasmesso l’insegnamento ricevuto da Savitri Nayr[5], che lei a sua volta apprese da G. Panamal.
Una trasmissione da Maestro a discepolo, basata su una pratica paziente e costante.
Il Maestro indica la via e accompagna il discepolo nei suoi primi passi verso la comprensione di un nuovo mondo fatto di suoni -quello del Tambura e quello della voce dalle infinite possibili modulazioni- che, in armonia tra loro, creano una melodia che avvicina al divino.

Dall’introduzione dell’Autore.
“Come l’organista, prima di apprestarsi a suonare, si assicura che il suo strumento funzioni in modo impeccabile, allo stesso modo tu, con l’arte della respirazione, hai risvegliato alla vita il tuo respiro. Gli hai dato la forza, la pienezza che da bambino gli erano del tutto naturali. Proprio come il bambino cresce ed impara a parlare, ora tu impari, di nuovo, a modellare il tuo respiro, a produrre suoni, messaggeri di un senso profondo, incommensurabile.

Partendo dalla tua madre lingua hai trovato accesso al linguaggio dell’universo, alla lingua parlata dalla creazione: il suo nome è ‘musica’.
In questo modo hai trasformato questo tuo respiro rinnovato in musica.”
Modellando il respiro, produciamo suoni; parlando o cantando portiamo in superficie messaggi dalle profondità del nostro Essere; il suono a sua volta lascia un’impronta nelle varie parti del corpo.
L’universo sonoro prende il colore delle nostre emozioni.

Premessa alla pratica

Ammorbidiamo tutto il volto. Rilasciamo la mandibola.
La lingua rimane puntata in basso contro la radice dei denti davanti, sul palato molle.
Apriamo la gola all’emissione del suono; il suono sale e lo teniamo alto.
Apriamo il diaframma e muoviamolo consapevolmente in armonia col respiro.
Prendiamo confidenza con la contrazione e il rilascio dei muscoli pelvici e addominali.
La contrazione del pavimento pelvico sostiene e impedisce alla voce di scendere, di essere ingoiata.
Ci aiuta la pratica yogica di Mulabandha.
Sperimentiamo l’intero corpo come una cassa di risonanza, uno strumento per emettere il suono; vibrazioni intense e diverse a seconda dei pieni e dei vuoti interni (organi, liquidi, fluidi…)
Moduliamo la voce.
Non forziamo mai le corde vocali.

Sintonizziamo l’emissione vocale con la respirazione yogica completa.
Con l’aria che entra ed esce dal corpo.
L’aria apre…apre la gola, il palato, le orecchie,….apre all’ascolto.

Sostituiamo espirazione/inspirazione con: ‘l’aria esce e l’aria entra’.
Abbandoniamo la rigidità espressiva a favore della realtà corporea [6].
Quando l’aria esce, il suono esce.
Quando l’aria entra il diaframma si abbassa spingendo i visceri in giù, e sembra quasi che l’aria entri nella pancia. Il controllo della cintura addominale, ci permette di ampliare la gabbia toracica (come se l’aria scesa nell’addome, contenuto dalla cintura addominale,  risalisse) e i polmoni, dalla base fino all’apice, sotto le clavicole, si riempiono d’aria.
Manteniamo la gabbia toracica aperta, mentre iniziamo a tirar fuori l’aria.
L’atto di farla uscire parte dalla contrazione consapevole del pavimento pelvico e dei muscoli addominali. L’aria esce ed esce la voce.
Portiamo prima l’ombelico verso la colonna, solo dopo -continuando l’emissione del suono- la gabbia toracica inizia ad abbassarsi al progressivo fuoriuscire dell’aria.
Immaginiamo il suono emesso come una “linea” che esce dalla bocca e si mantiene orizzontale, senza cadute, seguendo la direzione data.
Tiriamo fuori tutta la voce e dirigiamola. Sentiamola nelle orecchie.
Il resto del corpo è passivo, morbido, senza tensioni.
Sintonizziamoci sull’ascolto del suono all’interno, tendiamo l’orecchio alle vibrazioni.
Sperimentiamo, modifichiamo, approfondiamo.

La vocalizzazione proposta da F. Leboyer, preliminare al canto.

I suoni vocalici della tradizione indiana seguono questa sequenza:
a, e, o, i, u, m
Per imparare a riprodurli si utilizza la mobilità e la capacità espressiva del volto.
Nella pratica originale il canto è accompagnato dal suono del Tambura.
a
la bocca è spalancata, ma morbida, le labbra coprono i denti, la punta della lingua è tenuta  ferma contro i denti inferiori. Non è un’apertura forzata della bocca, essa si mantiene rilassata, accogliente. Immaginate di tenere un piccolo uovo in bocca…e di non doverlo far cadere…
Il volto esprime una quieta ammirazione.
e
un sorriso aperto, i denti sono scoperti, le due arcate un poco distanziate, gli angoli della bocca vanno verso l’alto.
Il volto esprime gioia e fascino. Gli occhi sono ridenti.
o
la bocca si chiude in avanti, le labbra creano un circolo stretto, le sopracciglia si alzano.
Il volto esprime una lieta sorpresa.
i
la bocca torna a sorridere, ritrovando ampiezza, i denti sono quasi uniti e sempre scoperti, più vicini rispetto alla e; gli angoli della bocca salgono ancor più su. Le sopracciglia si sono abbassate.
Il volto sorridente esprime grazia e fascino.
u
il suono della u è considerato come un “ritorno alle sorgenti della quiete”.
La bocca è un poco aperta, come se ci si preparasse a rivelare un segreto, le sopracciglia tornano ad alzarsi un poco.
Il volto sembra suggerire mistero, profondità ritrovata.
m
la bocca è chiusa, i denti all’interno sono distanziati, la lingua riposa sul palato inferiore, le guance sono morbide.
Il volto è disteso, senza espressione. La concentrazione è all’interno di se stessi, là, dove nasce il suono.

Una sperimentazione

Abbiamo sperimentato un secondo esercizio, sviluppato in seguito ad una graduale e costante pratica dell’intero insegnamento. Esso è orientato a favorire una maggiore consapevolezza delle differenti frequenze dei suoni e della loro risonanza all’interno del corpo.
Suono grave, fa vibrare il bacino.
Suono centrale, accompagnato dalla vibrazione toracico-diaframmatica.
Suono acuto, fa vibrare il collo, su fino al cranio.
Poi torniamo indietro, al suono centrale e infine a quello grave.
Ogni vocale va ripetuta seguendo la stessa sequenza della vocalizzazione:
a, e, o, i, u, m
Per una maggiore consapevolezza si pongono una mano sull’addome basso e una sul torace. Quest’ultima rimane ferma, mentre la mano sull’addome si sposta alla base del collo, quando intoniamo il suono acuto.
Buona sperimentazione.

L’aria che entra è uguale per tutti, l’aria che esce……NO[7]!
Trovare il proprio TIMBRO vocale equivale e trovare la propria IDENTITA’, la propria unica ‘forma’.

divisore fantasia geometrica

Bibliografia

F. Romano, cantante lirica, Counselor, Arte-terapeuta, ricercatrice e studiosa; creatrice del metodo Psicobiorisonanza (PBR) che osserva e studia gli effetti della risonanza della voce (parlata e cantata) nelle strutture psicofisiologiche.
Iniziazione alla Voce-terapia, Iniziazione Mediterranee, Roma 2010;
www.francescaromanoblog.com.

F. Leboyer, Canto e Respirazione Energetica, testi di F. Leboyer e S. Nayr, Traduzione di D. Besana dall’edizione tedesca, Red, Milano, 2004.

Riflessioni e appunti dall’esperienza pluriennale di canto e voce-terapia con Francesca Romano.

divisore fantasia geometrica

[1]F. Romano, Iniziazione alla Voce-terapia, Iniziazione Mediterranee, Roma 2010

[2]Idem c.s.

[3]A. Tomatis, L’orecchio e la voce, Baldini & Castoldi, Milano, 2000; citato in F. Romano, Iniziazione alla Voce-terapia, iniziazione Mediterranee, Roma 2010

[4]F. Leboyer, medico ginecologo, a suo tempo Primario della Clinica Ostetrica dell’Università di Parigi, ha scritto numerosi libri sul tema della sofferenza legata all’esperienza della nascita. Il primo e forse più famoso: Per una nascita senza violenza. Negli anni Settanta abbandonò la professione medica dedicandosi completamente alla ricerca che raccontò poi in vari scritti e video. Tra di essi: Shantala, l’arte del massaggio indiano per far crescere i bambini felici.

[5]Nulla di quanto è stato detto qui è opera mia. Mi sono limitato a trasmettere gli insegnamenti, spero il più precisamente possibile, che io stesso ho ricevuto da Savitri Nayr e che lei, a sua volta, ha appreso da Maestro Guruvayur Panamal.

[6]Come insegna nelle sue lezioni di Psicobiorisonanza F. Romano; francescaromanoblog.wordpress.com.

[7]Dagli appunti delle lezioni individuali di voce-terapia (Psicobiorisonanza) di F. Romano

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