
Motivando tale tesi con il fatto che all’incirca dal XII secolo gli yogasūtra sono caduti nell’oblio, tralasciando Śaṅkara e Vijñānabhikṣu (citati da White nel testo nel testo) collocabili tra XIV e XVI sec. L’affermazione che l’assenza di testimonianze scritte implichi l’oblio è una deduzione accettabile se riferita alle modalità di trasmissione della conoscenza di tipo profano. Altro è lo scenario se si fa riferimento alla trasmissione della Sapienza iniziatica tradizionale. Quest’ultima ha come caratteristica la trasmissione diretta, ’bocca-orecchio’, da Maestro a discepolo. Le forme Tradizionali non hanno la necessità di rivelarsi in modo palese, quindi in forma scritta; quando ciò avviene è per motivi che normalmente non è dato conoscere. D’altronde lo stesso White si avvicina indirettamente la realtà sottesa quando, identificando a catalogando le varie tipologie di commentatori degli yogasūtra afferma che:
L’oblio evidenziato è quello delle testimonianze scritte, cessato solo recentemente e diventato altresì un fenomeno di quella che White identifica come industria della sub-cultura yoga:
Cosa intenda per sub-cultura yoga è presto spiegato:
Da cui una domanda graffiante:
Arriviamo così ad identificare la tesi alla cui dimostrazione White dedica questo libro decisamente ‘fuori dal coro’:
Yoga come merce e come industria, critica dalla quale non è esentato lo stesso mondo accademico:
Concludiamo questa breve panoramica notando come anche White evidenzi la sostanziale non traducibilità del Significato dei sūtra. Tesi supportata con dati di fatto oggettivi, laddove prende in considerazione la molteplicità e difformità delle traduzioni del sūtra योगश्चित्तवृत्तिनिरोधः॥२॥ che racchiude l’essenza dello yoga:
Per il tema di nostro interesse, i codici etico-morali dei doveri verso se stessi e verso gli altri, abbiamo trovato solo un breve ma significativo richiamo a svādhyāya:
“Desikachar relates that in his teachings Krishnamacharya had identified svadhyaya with postural practice, the very opening” he needed to link the Yoga Sutra to the practice of which he was the undisputed modern master. Many contemporary yoga gurus, led by Iyengar and Pattabhi Jois, have made similar assertions, affirming that the entire eight-part practice is intrinsic to, or flows directly from, postural practice.”[11]
Sicuramente un libro ricco di spunti di riflessione che ne fanno un testo di riferimento con il quale confrontarsi. Peccato che sia completamente assente – tranne brevi accenni – la trattazione di Yama e Niyama, che – è bene non dimenticarlo -, con i Significati sottostanti, rappresentano le fondamenta non solo degli yogasūtra e della Tradizione Vedica, ma anche del Jainismo e del Buddhismo.
Al di la dei nomi e delle forme, per estensione, sono l’essenza comune alla Tradizione ‘tout court’, dove Occidente ed Oriente trovano le comuni radici. Quest’aspetto, ce ne rammarichiamo, il White non lo prende in considerazione.
Fabio Milioni

[1]dal testo: Dall’Uno della Tradizione ai Sistemi Aperti
॥ पातञ्जलयोगसूत्राणि ॥ Patañjali Yogasūtra Il ‘punto di vista’ Yoga
Vol I -Yama e Niyama, i Doveri (astensioni e osservanze)
[2]David GORDON WHITE, The Yoga Sutra of Patanjali. A Biography, Princeton University press, Princeton, 2014
[3]Ibidem pg. XV
[4]Ibidem, pgg3-4
[5]Ibidem, pg. XV
[6]Ibidem, pg. 1
[7]Ibidem pgg. 1-2
[8]Ibidem, pg. 6
[9]Ibidem, pg. 9
[10]Ibidem pg. 12
[11]Ibidem pgg. 215-16